mercoledì 27 novembre 2013

Dichiarazione di candidatura a Coordinatore provinciale di Mauro Stampacchia

Care compagne e cari compagni,

presento la mia candidatura a Coordinatore provinciale di Sel. Ho deliberatamente scelto di proporla dopo il Congresso Provinciale, in alternativa alla candidatura di Francesco Cecchetti, già presentata ed argomentata in quella sede. Su questa scelta influisce non poco la preoccupazione che il corpo degli iscritti al Partito venga diviso più di quanto accade fisiologicamente nella dialettica interna e che si creino ulteriori, inutili, lacerazioni.

Vorrei però premettere la mia personale stima per Francesco, che mi farà piacere ulteriormente argomentare nel dibattito in Assemblea Federale. E' un tratto importante, questo, anche per portare le nostre contraddizioni interne lontano da qualsiasi forma di latente personalismo o di critica di corridoio, tentare di qualificarle e se possibile ricondurle nell'alveo di una dialettica che ci faccia crescere tutti.

Non si può navigare a vista o limitarsi a galleggiare

Il nostro Partito a livello provinciale non può, per i compiti che si troverà ad affrontare sia localmente che nazionalmente, attardarsi in qualsiasi forma di autocompiacimento, in una prospettiva di navigazione a vista, o peggio di "galleggiamento" attendistico. Quella che abbiamo sperimentato, con il fallimento del progetto di Italia Bene Comune, è la chiusura di una fase, che Sel ha inizialmente, con le sue poche forze, determinato con quel suo "riaprire la partita"; una fase che però non è riuscita, nei suoi sviluppi, influenzare quanto avrebbe voluto, stante il risultato delle primarie ma anche l'andamento impresso alla campagna elettorale dalle maggiori forze della coalizione.

Una fase nuova, per Sel un nuovo inizio

Con l'agguato dei 101 a Prodi, il più generale arretramento del gruppo dirigente del Partito democratico di fronte alle responsabilità di guidare il nostro paese fuori dalla crisi economica, e il suo ripiegare verso le larghe intese, replica se possibile peggiore dell'appoggio al governo Monti, siamo di fronte ad una fase politica totalmente nuova, che non consente di utilizzare schemi non più adatti, o nascondersi dietro formulazioni generiche quali quelle di un centrosinistra invocato, che così rischia di rimanere confinato nei terreni della metafisica se non della mistica politica. Siamo di fronte ad una mutazione profonda, genetica, irreversibile, del Partito democratico? La domanda è più che legittima, la risposta non può però essere altrettanto sicura, perché tra la domanda e la risposta ci sta la nostra personale azione per fermare la deriva di quel Partito su posizioni ancora più arretrate e moderate delle sue origini, come testimonia il rifiuto di Romano Prodi di partecipare alle primarie. Bisognerebbe avere l'umiltà di chiedersi come sia ormai possibile che milioni di elettori già del centrosinistra si siano spostati elettoralmente altrove, quindi anche prima del "gran rifiuto" del ceto dirigente del Pd subito dopo le elezioni.


Il recinto oggi è quello del minoritarismo del partito del tre per cento

Diciamo tutti che non è il Pd il nostro destino. Ed io aggiungo: e nemmeno lasceremo il Pd al suo destino. Ma poi dobbiamo dire che è necessario sfuggire, noi che ci siamo sottratti al recinto minoritario di una sinistra chiusa nelle sue riserve indiane, ad un nuovo recinto, quello del minoritarismo degli eterni fiancheggiatori dei progetti di altri, nel quale molti hanno tentato di indirizzarci, e che ci confinerebbe al famoso partitino del tre per cento. Occorre quindi articolare una politica larga (quindi non una strada stretta) che ci faccia parlare a tutta la realtà sociale prodotta dalla crisi, ai ceti medi impoveriti, ai lavoratori, ai lavoratori autonomi, ai precari, ai giovani condannati ad una disoccupazione strutturale, ad un paese tutto che si vede senza futuro.

Dentro la crisi, contro la crisi, oltre la crisi

Francesco Cecchetti ha ben delineato nella parte iniziale del suo testo i punti salienti della crisi, lasciando fuori solo la più recente delle novità, e cioè la prospettiva di una ripresa senza vantaggi sociali, quella che in USA chiamano la jobless recovery, cioè un nuovo trend positivo del pil senza alcuna diminuzione della disoccupazione. Ma poi non ne ha tratto le necessarie conseguenze, che sono l'acuirsi del conflitto sociale, l'incattivirsi delle dinamiche politiche, la crescita di una domanda nella società che chiede in modo pressante protezione sociale, politiche anticicliche, una politica di riforme. Non basta criticare un riformismo senza riforme, come fa Cecchetti, occorre prendere atto che la tendenza più forte è quella che chiama impropriamente riformismo l'ulteriore demolizione dello stato sociale e dei diritti e che le riforme nostre, vere, quelle dei diritti, han bisogno di molta più radicalità e spirito di cambiamento di quanto ne abbia qualsiasi riformismo oggi in campo. Si può, come fa il nostro segretario uscente, porre la domanda, che così come formulata sembra uscire da un seminario di sociologia politica, e cioè se i nuovi movimenti sociali prodotto della crisi intendano autorappresentarsi politicamente o confrontarsi con le istituzioni e chi nelle istituzioni lavora. Il mondo delle istituzioni oggi, quello concreto, non quello disegnato da una Costituzione disattesa, lavora per comprimere i diritti, le condizioni di vita, le opportunità di milioni e milioni di cittadini e non cittadini italiani, e nel far questo costruisce circuiti di autorappresentazione di sè, di autoperpetuazione, di esclusione. Non stupisce che, come è stato recentemente affermato, chi rappresenta coerentemente il mondo di fuori, finisca, quale che sia l'importanza dell'incarico, per essere trattato come qualcosa di estraneo.

Noi con loro: il governo inizia nella società

Staremmo rinnegando l'ispirazione originaria di Sinistra Ecologia e Libertà se anche tra le nostre fila si facesse strada un modo di ragionare che vede un "noi" e un "loro", e se non gli si contrapponesse il riflesso, che invece unisce Sel e Sel alla sinistra, che vuole che ci sia un mondo solo, quello che viene ormai chiamato del 99%, e che noi dobbiamo diventarne gli interpreti politici garantendo allo stesso tempo che questo mondo si autorappresenti politicamente, che veda il mondo con i propri stessi occhi. Se vedessimo noi stessi solo come degli interni alle istituzioni che guardano fuori vedendo chi sta fuori come un estraneo alla buona politica, o da ammettere solo dopo un rigoroso esame, potremmo chiudere domani. Dobbiamo anzi evitare, per un altro valore fondante nostro, di rinunciare al governo complessivo delle dinamiche politiche innovative che continuano a nascere anche in una società estenuata e disperata. L'azione di governo non è solo quella che si svolge negli incarichi istituzionali, anzi questa parte è davvero poca cosa, rispetto allo sforzo ben più grande di costruire una cultura e una azione politica che sia governo anche dentro e a partire dalla società. Se questo non faremo, rimarremo allora si stretti e messi alle strette dalla crescita, confusa e ingovernabile, della radicalità sociale, che cadrà preda della demagogia populistica.

Il lavoro del coordinatore provinciale.

Chiunque assuma questo incarico troverà di fronte a se un difficile compito: lo stato del partito non può definirsi "buono". Rimarco che in sede congressuale non sono state distribuite le cifre essenziali, relative agli iscritti (in diminuzione), agli elettori (in marcato calo nelle ultimissime comunali a Pisa). Ma anche senza di queste si avverte un malessere diffuso, una incertezza su cosa si è e cosa si fa, diffusa un po' in tutto il partito. Quale che sia lo stato attuale, occorre dire come si intende reagire e riportare, al di là della formulistica di rito, Sel al ruolo che è in grado di svolgere.

Mi si consenta di partire non dal capoluogo, ma dalle potenzialità dei nostri circoli nelle altre zone e territori. Credo che le potenzialità di questi nostri circoli non siano state sufficientemente valorizzate, sia nel senso del sostegno alla loro nascita e crescita, sia nel senso dell'inserimento delle loro energie nel circuito del partito. L'idea stessa di "capoluogo" va messa in discussione, perché ogni comune è capoluogo e centro della politica. Meno che mai si dovrebbe sovrapporre alla volontà dei circoli una direttiva esterna ad essi e che non fosse da essi condivisa, quali che siano le indicazioni statutarie.

C'è bisogno di sinistra, c'è bisogno di più sinistra

Avvicinandosi le elezioni amministrative in importanti centri della provincia, ci si chiede se abbiamo sufficientemente investito in alcuni di essi, specie in quelli nei quali la nostra presenza è stata più recente e meno consolidata e se quanti di questi circoli abbiano ricevuto il sostegno che pur sarebbe stato possibile. La nostra presenza convinta dentro la coalizione di centrosinistra non può esimerci dal presentarci con un profilo nettamente caratterizzato, pronto allo stimolo e alla critica, e capace di qualificarci come alternativa praticabile alla sinistra. La sempre più aggressiva presenza sul piano locale della componente renziana è destinata a cambiare la geografia interna del centrosinistra toscano e il suo orientamento politico, ma nulla impedisce che sia Sel a riempire di contenuti di sinistra la spinta a sostituire i vecchi ceti dirigenti del Pd.

Valorizzare le differenze di territori che sono comunque già molto differenti tra di loro, per vocazione produttiva, per esperienze associative, per orizzonti geografici. La abolizione delle province lascia aperta la questione delle unioni dei comuni e del trasferimento delle competenze degli enti aboliti. I circoli della nostra provincia che ritenessero di mettere in sinergia il loro lavoro con circoli di altre provincie per affinità territoriale dovrebbero essere incoraggiati a farlo. Si deve favorire il lavoro comune degli iscritti di circoli diversi su temi che scavalcano i confini comunali, temi che sono peraltro sempre più ampi. Mentre la assemblea federale è chiamata ad un necessario lavoro di sintesi e di orientamento politico di queste sinergie, è necessario curare una circolazione orizzontale di idee, esperienze, impegni, tra attivisti di circoli diversi con lo scopo di acquisire una sempre maggiore consonanza di intenti.

Il capo è un non-luogo?

Nella città di Pisa, la nostra partecipazione alla maggioranza di governo, che in passato ha determinato non poche difficoltà al nostro interno, è ancora lontana dall'aver fatto decantare un sicuro, consolidato, cambio di passo, che abbia un riconoscimento condiviso nella opinione pubblica cittadina. I nostri due consiglieri comunali ci relazionano delle difficoltà non comuni nel fronteggiare sia le "insorgenze" quotidiane della città, e in qualche caso anche il loro disagio di fronte a scelte che ritengono di difficile accettazione (bilancio). Si tratta in parte di una condizione che deriva dalla ininterrotta politica di tagli ai comuni e al sociale, in parte dalla maggiore difficoltà che il fatto stesso di governare comporta rispetto allo stare all'opposizione, in parte ancora dalla difficoltà di governare insieme a forze con orientamenti, culture e comportamenti difformi dai nostri.
Il fatto di essere stato tra gli animatori di una battaglia contro l'ingresso di Sel nella maggioranza del sindaco Filippeschi non autorizza nessuno a pensare che come coordinatore provinciale propenderei per la fine di quella esperienza. Ritengo che se il partito ha intrapreso quella strada, quella strada debba essere perseguita fino in fondo, ma senza nessuna pratica di subalternità che la renderebbe vana e inutile. Stare in maggioranza non significa fare sconti a nessuno, significa parlare con ancora maggiore chiarezza prendendo nettamente le distanze dalle posizioni securitarie e dalle incapacità a governare i fenomeni (da cui dipende in parte la instabilità di quel governo cittadino) ancora presenti in quella giunta. Voglio citare solo un ottimo esempio emblematico della nostra azione a Pisa: la nostra pressione, svolta da Paolo Fornai, ha letteralmente strappato al Sindaco l'impegno per un tavolo con il Colorificio e ha posto coraggiosamente il nostro impegno come amministratori al centro del tentativo di risolvere la difficile questione. Nessun referendum quindi "Pd-si, Pd-no", ma azione politica rivolta a fare di Sel un tramite insostituibile tra società e governo cittadino.

Ne' correnti ne' componenti

Deluderò certamente chi si aspetta da me un endorsement per una corrente rispetto ad un'altra. Sono contro le correnti, perchè ingessano e insteriliscono il dibattito, e pongono solo la questione, a scadenza fissa, dello schierarsi per l'uno e per l'altro, rimuovendo lo sforzo a trovare sintesi e imparare dalle opinioni degli altri. Sono quindi per il rispetto delle posizioni di tutti e per la proporzionale rappresentanza di tutte le tendenze.
Sono per il partito-comunità, ma comunità che attraversa e unisce altre comunità, non per le logiche di apparato e di appartenenza. Contro il senso comune, che direbbe che se c'è corrente bisogna chiudere le finestre, dico che contro le correnti ci vogliono le finestre sempre aperte perché si possa guardare fuori e per farsi sempre attraversare dall'aria fresca.

Sono radicalmente avverso alle componenti, che però vedo essere ancora presenti, come lo sono le piccole alleanze e le cerchie più o meno magiche. Sopratutto quando la componente è un abito mentale che porta alla coazione a ripetere, alla abitudine ad affrontare la realtà sempre con gli stessi schemi e non cogliere la sfida del nuovo che si presenta, buono o cattivo che sia. Le componenti spingono i soliti noti, la fine delle componenti chiama tutti all'impegno. Siamo stati richiamati autorevolmente nel Congresso ad una prassi interna, voglio usare un eufemismo, più gender friendly. E' un richiamo importante alla piena completa cittadinanza di tutte dentro il partito. Intanto diciamo che è una cartina di tornasole che ci dice che non valorizziamo abbastanza le nostre interne potenzialità.

Critiche nel metodo a Francesco Cecchetti

Ho già criticato Francesco dalla tribuna del congresso per la presentazione prematura della sua candidatura, rimarcando come l'elezione plebiscitaria del coordinatore da parte della platea degli iscritti non sia prevista, anzi negata, dallo statuto. Ma non c'è solo una annotazione di correttezza procedurale. La elezione nella Assemblea Federale senza candidature preconfezionate avrebbe consentito, nella situazione complessa e solcata da divisioni del partito, di individuare chi di noi potesse meglio rispondere alle varie tendenze e rappresentarle in sintesi. Dice Francesco, e io credo che questa affermazione vada totalmente accolta, che la sua intenzione era quella della massima trasparenza, quindi un tentativo di evitare quelle che lui chiama le "cordelline". Purtroppo però, anche al di là delle intenzioni di Francesco, la sua candidatura richiama fortemente una continuità con il coordinatore uscente, anche perché nulla dice per prendere le distanze da almeno alcuni aspetti della precedente gestione, almeno quelli più controversi.

Due e non più di due

Occorre un nuovo stile di lavoro nel partito. Incomincio dicendo che la mia candidatura programmaticamente scade dopo due anni, comunque ed in ogni caso. Il ricambio non è un optional, e la nostra politica è un servizio agli altri ed uno strumento di crescita per tutti, e si cresce anche assumendo compiti di direzione politica. Dunque ricambio e poi ancora ricambio. Nessuno deve rimanere, come talvolta vedo, a far tappezzeria, e abbiamo bisogno anche noi di "bollenti spiriti", di ambizione pari allo spirito di servizio e dedizione. Alla scadenza di un anno, verifica grande in tutto il partito, conferenza di organizzazione, mini congresso senza la noia di commissioni e controcommissioni ma con una verifica puntuale del lavoro settore per settore, e il coordinatore che mette in discussione il suo mandato (mid term).

Prima di tutto, la comunicazione

Dobbiamo innovare ed innovare. Siamo indietro. Qualcuno ha osservato che il nostro intero congresso provinciale non ha avuto quasi eco fuori da noi? Eppure eravamo partiti, mi si scusi l'involontario bisticcio di parole, con l'idea di un congresso che avrebbe dovuto impattare all'esterno, preparare la via al nostro impegno nelle elezioni amministrative, farci conoscere. Non è una critica a nessuno, le risorse erano quelle che sono. Ma è un modo per ricordare la necessità di imparare nuove tecniche e nuovi modi. Nessuno ce la regala, la comunicazione, e voi sapete chi la controlla. Ma nessuno può e deve impedirci di conquistarcela attraverso la nostra azione.

A cosa serve questa mia candidatura.

Credo di poter dire concludendo che il senso di questa mia proposta sia essenzialmente quello di proporre al dibattito e alla pratica del nostro partito insieme una discontinuità e un ritorno ai suoi valori più importanti. Mi sarebbe dispiaciuto lasciare ad uno stanco unanimismo di facciata l'elezione del coordinatore, o innescare una contrapposizione divisiva. Troverei davvero di dubbio gusto ostentare la possibilità di successo, perché questa risiede solo nelle menti dei compagni della Assemblea federale, ma credo di poter anticipare un successo che non coincide con il conseguimento, che pure mi auguro, della maggioranza dei voti in quella sede. C'è un "successo" che consiste nel partecipare e trovare ascolto e ho la presunzione di credere, conoscendo i compagni di Sel, di averlo già ottenuto.

Il principio-speranza. Francescani e garibaldini

Umiltà, umiltà, e poi ancora umiltà. Dobbiamo bandire da noi ogni boria ed ogni sussiego ed essere francescani e garibaldini fino in fondo, andare per il mondo con la forza della nostra povertà e del nostro coraggio. E ricordarci che il mondo nostro, quello che attraversiamo e conosciamo, nel quale siamo cresciuti e dal quale tutti veniamo, è anche il sale della terra, quello che ne assicura sostanza, sapore e futuro. Non dimentichiamo mai che noi siamo i portatori del principio-speranza, del fuoco del domani, che deve essere alimentato, per piccolo che sia, anche nell'inverno più gelido.

Lor signori: le larghe intese. Noi: la politica larga che unisce e riapre la strada

Le larghe intese tengono dentro la parte della società dalle vedute più strette, legata ad un presente triste e senza aperture, pronta a ossequiare i potenti, ad inginocchiarsi alle compatibilità imposte dalla finanza. Quella politica metterà alle strette la società, infilerà il nostro Paese e l'Europa in una strettoia dalla quale sarà difficile uscire. La nostra è una politica larga, capace di parlare alla parte di società che non si rassegna, capace di interloquire con i diversi e i distanti da noi, è curiosa, interroga e si interroga. La nostra è una politica che allarga e per questo riapre la strada.

Pisa, 26 novembre 2013

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