sabato 5 luglio 2014

Le due sinistre [contributo di Paolo Conte]

Era il 5 luglio di due anni fa quando Mario Tronti, dalle colonne dell’Unità, sosteneva che per la sinistra italiana fosse finalmente giunto il momento di dar avvio ad una nuova stagione storica in cui porre fine alla rigida bipartizione fra riformismo e radicalismo. Nell’articolo, emblematicamente intitolato È ora di superare le due sinistre, il padre dell’operaismo italiano sosteneva che teoria e pratica delle “due sinistre” non avessero più ragion d’esistere in seguito al «terremoto che ha devastato l’Italietta berlusconiana» e, soprattutto, a causa dello sviluppo di «tutta la fase neoliberista del capitalismo-mondo». Netta, infatti, era la sua condanna degli esiti politici e dei risultati storici raggiunti da entrambi i percorsi imboccati dalle due anime della sinistra italiana degli ultimi 25 anni: «da un lato la radicalizzazione movimentista no-global e new-global, dall’altra le Terze Vie e il neue Mittel. Nemmeno antagonisti e riformisti, piuttosto contestatori e liberisti. Fallimentari sia lo scontro nelle piazze, sia la coalizione al governo. Due entità, infatti, imprecise, e provvisorie, non autonome, incapaci di vera autonomia, culturale e politica, sia l’una che l’altra, vittime o delle proprie parole d’ordine o dei propri atti gestionali».

Da subito fu evidente come l’articolo, che anticipava di alcuni mesi le elezioni tenutesi nel febbraio successivo, avesse alla sua base l’obiettivo politico-culturale di favorire la costruzione di un nuovo cantiere politico della sinistra italiana. Tant’è che lo stesso Tronti sosteneva che i mesi successivi sarebbero dovuti essere «impiegati per definire una mappa di percorso» finalizzato «a delineare la forma organizzata con cui il progetto di governo della sinistra si presenta di fronte al paese»Più che un semplice editoriale, dunque, si trattava una vera e propria proposta di governo. E non era un caso, pertanto, che l’articolo apparisse in prima pagina sul quotidiano allora diretto da un giornalista, quale Claudio Sardo, molto vicino all’aspirante premier Bersani. Così come non era un caso che lo stesso Tronti sarebbe poi stato candidato, ed eletto, proprio nelle file del Partito Democratico. Ma la proposta del superamento delle due sinistre se da un lato serviva a Bersani per rafforzare l’anima socialdemocratica del suo partito ed eliminarne (o almeno attutirne) le suggestioni liberali che pur stavano in quei mesi prendendo corpo in diversi suoi esponenti cattolici e giuslavoristi, dall’altro non avrebbe mancato di favorire un interessante dibattito anche in altri e più vasti settori della sinistra – politica ed intellettuale – italiana. Prendeva corpo, così, lo spirito che avrebbe portato alla nascita della coalizione Italia Bene Comune e che avrebbe potuto segnare la formazione di uno dei governi più a sinistra della storia repubblicana d’Italia.

Significativo, a tal riguardo, che il primo a commentare le parole di Tronti fosse, e pour cause, uno dei principali alleati di Bersani quale il leader di Sinistra Ecologia e Libertà Nichi Vendola, che, già il 6 luglio, sempre dalle pagine dell’Unità riprendeva e rilanciava la proposta del superamento della rigida bipartizione fra riformismo e radicalismo. Vendola, in un editoriale dal titolo Dopo le due sinistre, auspicava – sia la forza politica di cui era presidente che per tutto il mondo della sinistra italiana – un lavoro di media-lunga durata volto a «costruire una comune soggettività politica»

L’identità di tale soggetto doveva articolarsi intorno a tre grandi assi portanti: la «valorizzazione del lavoro», tale da «invertire il metodico processo di sgretolamento» causato dall’egemonia liberista; la costruzione degli «Stati uniti d’Europa», in grado di riformare l’assetto istituzionale dell’UE ed armonizzare i diritti di tutti i popoli del “vecchio Continente”; e la lotta alla «crisi morale e di valori» lasciataci in eredità dall’«ingordigia neoliberista» e dal berlusconismo. In tal modo il leader di Sel definiva l’identità politica del suo partito e lo spronava a concorrere all’«ambiziosissimo obiettivo di essere lievito per la nascita di una sinistra nuova e unitaria, moderna e legata alle sue radici vitali»: a suo avviso, infatti, era per questo che Sinistra Ecologia e Libertà era nata.

Da allora, come si è detto, sono passati due anni: un’era geologica in politica. Ancor più se si considera che le successive elezioni hanno sancito il totale fallimento di quella proposta e che la dirompente ascesa di Matteo Renzi ha poi segnato un ulteriore duro colpo alla possibilità di far nascere una coalizione di governo con un solido – seppur non maggioritario – asse a sinistra. Così, i protagonisti di quella sfida sono oggi in grave difficoltà: a darne l’esempio più eclatante è proprio Sel, i cui recenti contrasti interni, culminati con la fuoriuscita di un folto gruppo di parlamentari, attestano concretamente le difficoltà che vive oggi una parte consistente della sinistra italiana, sempre più disorientata di fronte ai continui mutamenti dello scenario politico e profondamente incapace di intraprendere un coerente percorso identitario. Pertanto, in seguito alla sconfitta della coalizione Italia Bene Comune alle elezioni del 2013 e di fronte alle difficoltà attuali, verrebbe naturale suggerire, non solo a Sel ma a tutta la sinistra italiana, un ritorno al passato. Un ritorno, cioè, alla fase in cui l’unica scelta possibile era quella fra un opaco moderatismo riformista, incapace di essere vera forza del cambiamento, ed un astratto radicalismo minoritario, privo di reale ancoraggio nella realtà. Nulla di più facile, vero; ma anche nulla di più sbagliato. Perché la sfida oggi è proprio quella di costruire una sinistra nuova, radicale sì, ma di governo. Perché se è vero come è vero che la politica non è solo l’amministrazione dell’esistente, ma anche e soprattutto la costruzione (costruzione, appunto!) di un grande sogno collettivo, allora non ci si può limitare solo a scegliere fra il già dato, ma occorre, sempre guardando in faccia alla realtà, attivarsi per dar vita ad un nuovo scenario. 
Insomma, per dirla con Jean Jaurès: «aller à l’idéal et comprendre le réel».

È per questo che se da un lato è totalmente sbagliata la scelta di uscire da Sel per confluire, prima o poi, nel Pd di Renzi, non meno erronea ci sembra anche la prospettiva di una nuova costituente di sinistra, i cui confini e programmi risultano ancora assolutamente poco chiari. Si tratta di due scelte diverse, ma che rispondono ad una stessa logica di fondo – quella delle “due sinistre” – dalla quale, invece, occorre sottrarsi. Entrambe, infatti, rappresentano un allontanamento dal progetto originario di Sel ed entrambe non fanno altro che ripercorrere antiche contrapposizioni. Non è abdicando al Pd che ci si assume responsabilità di governo, ma non è nemmeno costruendo nuovi contenitori politici ad ogni tornata elettorale e facendosi dettare le regole da ipotetici garanti (abbiamo visto, poi, quanto la loro parola sia ben lungi dal rispetto degli impegni assunti con la comunità di riferimento) che si costruisce una forza realmente democratica. 
Dunque, né stampella del PD per condannarsi all’inconsistenza, né forza di pura opposizione per rinchiudersi nella marginalità. Occorre, invece, da un lato incalzare Renzi – ma anche capirne l’originalità della proposta politica e non limitarsi a definirlo con vecchie ed ormai desuete categorie interpretative – su tematiche concrete quali il reddito minimo, la riduzione delle spese militari, lo sforamento del vincolo di bilancio. Dall’altro aprirsi al mondo dei movimenti ed avviare una fase di reale confronto con la società civile, entrando nelle fabbriche, nelle scuole, negli ospedali. Bisogna, cioè, tornare a «mettersi in gioco». E farlo senza essere prigionieri delle tradizioni, ma avendo sempre la Costituzione come testo guida e la questione sociale come priorità delle priorità.



È solo rispolverando il suo progetto originario che Sel potrà ripartire, perché è solo ricordando da dove viene che potrà capire dove è diretta. È solo provando ad andare oltre le due sinistre che quel soggetto politico ha ragion d’essere. Pertanto, prima di nuove scissioni o di ennesimi ritorni al passato, sarebbe bene riprendere le parole di Tronti e con lui chiedersi «realisticamente se questa separatezza, con queste conseguenze, abbia ancora senso».

Paolo Conte