mercoledì 27 novembre 2013

Dichiarazione di candidatura a Coordinatore provinciale di Mauro Stampacchia

Care compagne e cari compagni,

presento la mia candidatura a Coordinatore provinciale di Sel. Ho deliberatamente scelto di proporla dopo il Congresso Provinciale, in alternativa alla candidatura di Francesco Cecchetti, già presentata ed argomentata in quella sede. Su questa scelta influisce non poco la preoccupazione che il corpo degli iscritti al Partito venga diviso più di quanto accade fisiologicamente nella dialettica interna e che si creino ulteriori, inutili, lacerazioni.

Vorrei però premettere la mia personale stima per Francesco, che mi farà piacere ulteriormente argomentare nel dibattito in Assemblea Federale. E' un tratto importante, questo, anche per portare le nostre contraddizioni interne lontano da qualsiasi forma di latente personalismo o di critica di corridoio, tentare di qualificarle e se possibile ricondurle nell'alveo di una dialettica che ci faccia crescere tutti.

Non si può navigare a vista o limitarsi a galleggiare

Il nostro Partito a livello provinciale non può, per i compiti che si troverà ad affrontare sia localmente che nazionalmente, attardarsi in qualsiasi forma di autocompiacimento, in una prospettiva di navigazione a vista, o peggio di "galleggiamento" attendistico. Quella che abbiamo sperimentato, con il fallimento del progetto di Italia Bene Comune, è la chiusura di una fase, che Sel ha inizialmente, con le sue poche forze, determinato con quel suo "riaprire la partita"; una fase che però non è riuscita, nei suoi sviluppi, influenzare quanto avrebbe voluto, stante il risultato delle primarie ma anche l'andamento impresso alla campagna elettorale dalle maggiori forze della coalizione.

Una fase nuova, per Sel un nuovo inizio

Con l'agguato dei 101 a Prodi, il più generale arretramento del gruppo dirigente del Partito democratico di fronte alle responsabilità di guidare il nostro paese fuori dalla crisi economica, e il suo ripiegare verso le larghe intese, replica se possibile peggiore dell'appoggio al governo Monti, siamo di fronte ad una fase politica totalmente nuova, che non consente di utilizzare schemi non più adatti, o nascondersi dietro formulazioni generiche quali quelle di un centrosinistra invocato, che così rischia di rimanere confinato nei terreni della metafisica se non della mistica politica. Siamo di fronte ad una mutazione profonda, genetica, irreversibile, del Partito democratico? La domanda è più che legittima, la risposta non può però essere altrettanto sicura, perché tra la domanda e la risposta ci sta la nostra personale azione per fermare la deriva di quel Partito su posizioni ancora più arretrate e moderate delle sue origini, come testimonia il rifiuto di Romano Prodi di partecipare alle primarie. Bisognerebbe avere l'umiltà di chiedersi come sia ormai possibile che milioni di elettori già del centrosinistra si siano spostati elettoralmente altrove, quindi anche prima del "gran rifiuto" del ceto dirigente del Pd subito dopo le elezioni.


Il recinto oggi è quello del minoritarismo del partito del tre per cento

Diciamo tutti che non è il Pd il nostro destino. Ed io aggiungo: e nemmeno lasceremo il Pd al suo destino. Ma poi dobbiamo dire che è necessario sfuggire, noi che ci siamo sottratti al recinto minoritario di una sinistra chiusa nelle sue riserve indiane, ad un nuovo recinto, quello del minoritarismo degli eterni fiancheggiatori dei progetti di altri, nel quale molti hanno tentato di indirizzarci, e che ci confinerebbe al famoso partitino del tre per cento. Occorre quindi articolare una politica larga (quindi non una strada stretta) che ci faccia parlare a tutta la realtà sociale prodotta dalla crisi, ai ceti medi impoveriti, ai lavoratori, ai lavoratori autonomi, ai precari, ai giovani condannati ad una disoccupazione strutturale, ad un paese tutto che si vede senza futuro.

Dentro la crisi, contro la crisi, oltre la crisi

Francesco Cecchetti ha ben delineato nella parte iniziale del suo testo i punti salienti della crisi, lasciando fuori solo la più recente delle novità, e cioè la prospettiva di una ripresa senza vantaggi sociali, quella che in USA chiamano la jobless recovery, cioè un nuovo trend positivo del pil senza alcuna diminuzione della disoccupazione. Ma poi non ne ha tratto le necessarie conseguenze, che sono l'acuirsi del conflitto sociale, l'incattivirsi delle dinamiche politiche, la crescita di una domanda nella società che chiede in modo pressante protezione sociale, politiche anticicliche, una politica di riforme. Non basta criticare un riformismo senza riforme, come fa Cecchetti, occorre prendere atto che la tendenza più forte è quella che chiama impropriamente riformismo l'ulteriore demolizione dello stato sociale e dei diritti e che le riforme nostre, vere, quelle dei diritti, han bisogno di molta più radicalità e spirito di cambiamento di quanto ne abbia qualsiasi riformismo oggi in campo. Si può, come fa il nostro segretario uscente, porre la domanda, che così come formulata sembra uscire da un seminario di sociologia politica, e cioè se i nuovi movimenti sociali prodotto della crisi intendano autorappresentarsi politicamente o confrontarsi con le istituzioni e chi nelle istituzioni lavora. Il mondo delle istituzioni oggi, quello concreto, non quello disegnato da una Costituzione disattesa, lavora per comprimere i diritti, le condizioni di vita, le opportunità di milioni e milioni di cittadini e non cittadini italiani, e nel far questo costruisce circuiti di autorappresentazione di sè, di autoperpetuazione, di esclusione. Non stupisce che, come è stato recentemente affermato, chi rappresenta coerentemente il mondo di fuori, finisca, quale che sia l'importanza dell'incarico, per essere trattato come qualcosa di estraneo.

Noi con loro: il governo inizia nella società

Staremmo rinnegando l'ispirazione originaria di Sinistra Ecologia e Libertà se anche tra le nostre fila si facesse strada un modo di ragionare che vede un "noi" e un "loro", e se non gli si contrapponesse il riflesso, che invece unisce Sel e Sel alla sinistra, che vuole che ci sia un mondo solo, quello che viene ormai chiamato del 99%, e che noi dobbiamo diventarne gli interpreti politici garantendo allo stesso tempo che questo mondo si autorappresenti politicamente, che veda il mondo con i propri stessi occhi. Se vedessimo noi stessi solo come degli interni alle istituzioni che guardano fuori vedendo chi sta fuori come un estraneo alla buona politica, o da ammettere solo dopo un rigoroso esame, potremmo chiudere domani. Dobbiamo anzi evitare, per un altro valore fondante nostro, di rinunciare al governo complessivo delle dinamiche politiche innovative che continuano a nascere anche in una società estenuata e disperata. L'azione di governo non è solo quella che si svolge negli incarichi istituzionali, anzi questa parte è davvero poca cosa, rispetto allo sforzo ben più grande di costruire una cultura e una azione politica che sia governo anche dentro e a partire dalla società. Se questo non faremo, rimarremo allora si stretti e messi alle strette dalla crescita, confusa e ingovernabile, della radicalità sociale, che cadrà preda della demagogia populistica.

Il lavoro del coordinatore provinciale.

Chiunque assuma questo incarico troverà di fronte a se un difficile compito: lo stato del partito non può definirsi "buono". Rimarco che in sede congressuale non sono state distribuite le cifre essenziali, relative agli iscritti (in diminuzione), agli elettori (in marcato calo nelle ultimissime comunali a Pisa). Ma anche senza di queste si avverte un malessere diffuso, una incertezza su cosa si è e cosa si fa, diffusa un po' in tutto il partito. Quale che sia lo stato attuale, occorre dire come si intende reagire e riportare, al di là della formulistica di rito, Sel al ruolo che è in grado di svolgere.

Mi si consenta di partire non dal capoluogo, ma dalle potenzialità dei nostri circoli nelle altre zone e territori. Credo che le potenzialità di questi nostri circoli non siano state sufficientemente valorizzate, sia nel senso del sostegno alla loro nascita e crescita, sia nel senso dell'inserimento delle loro energie nel circuito del partito. L'idea stessa di "capoluogo" va messa in discussione, perché ogni comune è capoluogo e centro della politica. Meno che mai si dovrebbe sovrapporre alla volontà dei circoli una direttiva esterna ad essi e che non fosse da essi condivisa, quali che siano le indicazioni statutarie.

C'è bisogno di sinistra, c'è bisogno di più sinistra

Avvicinandosi le elezioni amministrative in importanti centri della provincia, ci si chiede se abbiamo sufficientemente investito in alcuni di essi, specie in quelli nei quali la nostra presenza è stata più recente e meno consolidata e se quanti di questi circoli abbiano ricevuto il sostegno che pur sarebbe stato possibile. La nostra presenza convinta dentro la coalizione di centrosinistra non può esimerci dal presentarci con un profilo nettamente caratterizzato, pronto allo stimolo e alla critica, e capace di qualificarci come alternativa praticabile alla sinistra. La sempre più aggressiva presenza sul piano locale della componente renziana è destinata a cambiare la geografia interna del centrosinistra toscano e il suo orientamento politico, ma nulla impedisce che sia Sel a riempire di contenuti di sinistra la spinta a sostituire i vecchi ceti dirigenti del Pd.

Valorizzare le differenze di territori che sono comunque già molto differenti tra di loro, per vocazione produttiva, per esperienze associative, per orizzonti geografici. La abolizione delle province lascia aperta la questione delle unioni dei comuni e del trasferimento delle competenze degli enti aboliti. I circoli della nostra provincia che ritenessero di mettere in sinergia il loro lavoro con circoli di altre provincie per affinità territoriale dovrebbero essere incoraggiati a farlo. Si deve favorire il lavoro comune degli iscritti di circoli diversi su temi che scavalcano i confini comunali, temi che sono peraltro sempre più ampi. Mentre la assemblea federale è chiamata ad un necessario lavoro di sintesi e di orientamento politico di queste sinergie, è necessario curare una circolazione orizzontale di idee, esperienze, impegni, tra attivisti di circoli diversi con lo scopo di acquisire una sempre maggiore consonanza di intenti.

Il capo è un non-luogo?

Nella città di Pisa, la nostra partecipazione alla maggioranza di governo, che in passato ha determinato non poche difficoltà al nostro interno, è ancora lontana dall'aver fatto decantare un sicuro, consolidato, cambio di passo, che abbia un riconoscimento condiviso nella opinione pubblica cittadina. I nostri due consiglieri comunali ci relazionano delle difficoltà non comuni nel fronteggiare sia le "insorgenze" quotidiane della città, e in qualche caso anche il loro disagio di fronte a scelte che ritengono di difficile accettazione (bilancio). Si tratta in parte di una condizione che deriva dalla ininterrotta politica di tagli ai comuni e al sociale, in parte dalla maggiore difficoltà che il fatto stesso di governare comporta rispetto allo stare all'opposizione, in parte ancora dalla difficoltà di governare insieme a forze con orientamenti, culture e comportamenti difformi dai nostri.
Il fatto di essere stato tra gli animatori di una battaglia contro l'ingresso di Sel nella maggioranza del sindaco Filippeschi non autorizza nessuno a pensare che come coordinatore provinciale propenderei per la fine di quella esperienza. Ritengo che se il partito ha intrapreso quella strada, quella strada debba essere perseguita fino in fondo, ma senza nessuna pratica di subalternità che la renderebbe vana e inutile. Stare in maggioranza non significa fare sconti a nessuno, significa parlare con ancora maggiore chiarezza prendendo nettamente le distanze dalle posizioni securitarie e dalle incapacità a governare i fenomeni (da cui dipende in parte la instabilità di quel governo cittadino) ancora presenti in quella giunta. Voglio citare solo un ottimo esempio emblematico della nostra azione a Pisa: la nostra pressione, svolta da Paolo Fornai, ha letteralmente strappato al Sindaco l'impegno per un tavolo con il Colorificio e ha posto coraggiosamente il nostro impegno come amministratori al centro del tentativo di risolvere la difficile questione. Nessun referendum quindi "Pd-si, Pd-no", ma azione politica rivolta a fare di Sel un tramite insostituibile tra società e governo cittadino.

Ne' correnti ne' componenti

Deluderò certamente chi si aspetta da me un endorsement per una corrente rispetto ad un'altra. Sono contro le correnti, perchè ingessano e insteriliscono il dibattito, e pongono solo la questione, a scadenza fissa, dello schierarsi per l'uno e per l'altro, rimuovendo lo sforzo a trovare sintesi e imparare dalle opinioni degli altri. Sono quindi per il rispetto delle posizioni di tutti e per la proporzionale rappresentanza di tutte le tendenze.
Sono per il partito-comunità, ma comunità che attraversa e unisce altre comunità, non per le logiche di apparato e di appartenenza. Contro il senso comune, che direbbe che se c'è corrente bisogna chiudere le finestre, dico che contro le correnti ci vogliono le finestre sempre aperte perché si possa guardare fuori e per farsi sempre attraversare dall'aria fresca.

Sono radicalmente avverso alle componenti, che però vedo essere ancora presenti, come lo sono le piccole alleanze e le cerchie più o meno magiche. Sopratutto quando la componente è un abito mentale che porta alla coazione a ripetere, alla abitudine ad affrontare la realtà sempre con gli stessi schemi e non cogliere la sfida del nuovo che si presenta, buono o cattivo che sia. Le componenti spingono i soliti noti, la fine delle componenti chiama tutti all'impegno. Siamo stati richiamati autorevolmente nel Congresso ad una prassi interna, voglio usare un eufemismo, più gender friendly. E' un richiamo importante alla piena completa cittadinanza di tutte dentro il partito. Intanto diciamo che è una cartina di tornasole che ci dice che non valorizziamo abbastanza le nostre interne potenzialità.

Critiche nel metodo a Francesco Cecchetti

Ho già criticato Francesco dalla tribuna del congresso per la presentazione prematura della sua candidatura, rimarcando come l'elezione plebiscitaria del coordinatore da parte della platea degli iscritti non sia prevista, anzi negata, dallo statuto. Ma non c'è solo una annotazione di correttezza procedurale. La elezione nella Assemblea Federale senza candidature preconfezionate avrebbe consentito, nella situazione complessa e solcata da divisioni del partito, di individuare chi di noi potesse meglio rispondere alle varie tendenze e rappresentarle in sintesi. Dice Francesco, e io credo che questa affermazione vada totalmente accolta, che la sua intenzione era quella della massima trasparenza, quindi un tentativo di evitare quelle che lui chiama le "cordelline". Purtroppo però, anche al di là delle intenzioni di Francesco, la sua candidatura richiama fortemente una continuità con il coordinatore uscente, anche perché nulla dice per prendere le distanze da almeno alcuni aspetti della precedente gestione, almeno quelli più controversi.

Due e non più di due

Occorre un nuovo stile di lavoro nel partito. Incomincio dicendo che la mia candidatura programmaticamente scade dopo due anni, comunque ed in ogni caso. Il ricambio non è un optional, e la nostra politica è un servizio agli altri ed uno strumento di crescita per tutti, e si cresce anche assumendo compiti di direzione politica. Dunque ricambio e poi ancora ricambio. Nessuno deve rimanere, come talvolta vedo, a far tappezzeria, e abbiamo bisogno anche noi di "bollenti spiriti", di ambizione pari allo spirito di servizio e dedizione. Alla scadenza di un anno, verifica grande in tutto il partito, conferenza di organizzazione, mini congresso senza la noia di commissioni e controcommissioni ma con una verifica puntuale del lavoro settore per settore, e il coordinatore che mette in discussione il suo mandato (mid term).

Prima di tutto, la comunicazione

Dobbiamo innovare ed innovare. Siamo indietro. Qualcuno ha osservato che il nostro intero congresso provinciale non ha avuto quasi eco fuori da noi? Eppure eravamo partiti, mi si scusi l'involontario bisticcio di parole, con l'idea di un congresso che avrebbe dovuto impattare all'esterno, preparare la via al nostro impegno nelle elezioni amministrative, farci conoscere. Non è una critica a nessuno, le risorse erano quelle che sono. Ma è un modo per ricordare la necessità di imparare nuove tecniche e nuovi modi. Nessuno ce la regala, la comunicazione, e voi sapete chi la controlla. Ma nessuno può e deve impedirci di conquistarcela attraverso la nostra azione.

A cosa serve questa mia candidatura.

Credo di poter dire concludendo che il senso di questa mia proposta sia essenzialmente quello di proporre al dibattito e alla pratica del nostro partito insieme una discontinuità e un ritorno ai suoi valori più importanti. Mi sarebbe dispiaciuto lasciare ad uno stanco unanimismo di facciata l'elezione del coordinatore, o innescare una contrapposizione divisiva. Troverei davvero di dubbio gusto ostentare la possibilità di successo, perché questa risiede solo nelle menti dei compagni della Assemblea federale, ma credo di poter anticipare un successo che non coincide con il conseguimento, che pure mi auguro, della maggioranza dei voti in quella sede. C'è un "successo" che consiste nel partecipare e trovare ascolto e ho la presunzione di credere, conoscendo i compagni di Sel, di averlo già ottenuto.

Il principio-speranza. Francescani e garibaldini

Umiltà, umiltà, e poi ancora umiltà. Dobbiamo bandire da noi ogni boria ed ogni sussiego ed essere francescani e garibaldini fino in fondo, andare per il mondo con la forza della nostra povertà e del nostro coraggio. E ricordarci che il mondo nostro, quello che attraversiamo e conosciamo, nel quale siamo cresciuti e dal quale tutti veniamo, è anche il sale della terra, quello che ne assicura sostanza, sapore e futuro. Non dimentichiamo mai che noi siamo i portatori del principio-speranza, del fuoco del domani, che deve essere alimentato, per piccolo che sia, anche nell'inverno più gelido.

Lor signori: le larghe intese. Noi: la politica larga che unisce e riapre la strada

Le larghe intese tengono dentro la parte della società dalle vedute più strette, legata ad un presente triste e senza aperture, pronta a ossequiare i potenti, ad inginocchiarsi alle compatibilità imposte dalla finanza. Quella politica metterà alle strette la società, infilerà il nostro Paese e l'Europa in una strettoia dalla quale sarà difficile uscire. La nostra è una politica larga, capace di parlare alla parte di società che non si rassegna, capace di interloquire con i diversi e i distanti da noi, è curiosa, interroga e si interroga. La nostra è una politica che allarga e per questo riapre la strada.

Pisa, 26 novembre 2013

martedì 26 novembre 2013

La via stretta - candidatura alla segreteria provinciale di F. Cecchetti

L’Italia, oggi

Il Paese vive una profonda e drammatica crisi economica, culturale e sociale. In questo difficile contesto si inserisce il secondo Congresso nazionale di Sinistra Ecologia Libertà.

Molto pesante è la situazione che riguarda il mondo del lavoro. A pagarne maggiormente le conseguenze sono i giovani. L’Italia è, oggi, il Paese dove la disoccupazione giovanile, secondo gli ultimi dati dell’Istat, ha raggiunto il 40,4%; mai era stata così alta dal 1977. Il dato fa del nostro paese il terzo  in questa triste classifica dell’Eurozona dopo la Grecia e la Spagna. Oltre due milioni sono i cosiddetti “Neet” (Not engaged in Education, Employement and Training), giovani così scoraggiati dalla situazione che non studiano, non cercano più lavoro e non sono nemmeno coinvolti in attività formative. Queste persone non solo non hanno un lavoro, c’è un passaggio ulteriore: hanno perso la speranza di averne uno. La disoccupazione femminile nel Sud è superiore al 50%; complessivamente, secondo un dato dell’OCSE, il 12,5% degli italiani non lavora, una percentuale in costante crescita che ha raggiunto ormai i dati degli anni ’70.

Se questa è la situazione del lavoro, non sorprende che sia tornata in auge una parola che pensavamo, almeno fino a non molto tempo fa, di aver espulso dal nostro vocabolario: povertà. In Italia vivono in condizione di povertà relativa (500 euro mensili) 8 milioni e mezzo di persone, 4 milioni e 800mila in povertà assoluta. Praticamente un italiano su 4 versa in condizioni non dignitose.

Al quadro sociale si aggiunge la costante negazione dei diritti civili. Poche settimane fa, 366 profughi in fuga dalla guerra e della miseria sono annegati a un passo da Lampedusa. Di fronte al naufragio, la politica ha saputo solo piangere lacrime di coccodrillo nei giorni della catastrofe. Niente, poi, è stato fatto. La nostra inadeguatezza legislativa e culturale è beffardamente esemplificata dalle indagini per immigrazione clandestina e favoreggiamento della stessa aperte, rispettivamente, a carico dei superstiti e dei pescatori che li avevano tratti in salvo.

Nei giorni dell’affaire Cancellieri-Ligresti, quasi nessuno si è interrogato sul tema vero che si staglia sullo sfondo di questa vicenda: il sovraffollamento delle carceri, l’inumanità della carcerazione preventiva e le vergognose condizioni di vita dei detenuti. Sono, però, questi i temi che entrano ed escono con grande velocità dall’agenda politica. Oggi, quasi nessuno ha la forza di proporre l’abolizione di due leggi liberticide come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi; con questi due semplici atti, oltre ad un passo avanti per la tutela dei diritti umani nel nostro paese, la situazione delle carceri tornerebbe rapidamente sostenibile.

Per quanto riguarda il mondo dell'istruzione e della ricerca, i dati ci consegnano un panorama desolante frutto di venti anni di politiche miopi e tagli draconiani, che stanno già configurando un'espulsione di massa dall'università di studenti, ricercatori, docenti. In questo contesto, il rimpinguamento del Fondo di Finanziamento Ordinario che si trova nella legge di stabilità risulta largamente insufficiente rispetto ai bisogni dell'università italiana. Purtroppo, nella stessa legge, troviamo anche il rifinanziamento con 220 milioni di euro delle scuole paritarie: per noi un provvedimento inaccettabile e dannoso per il futuro della scuola pubblica. Inoltre, la contrattazione del pubblico impiego sarà ferma fino a tutto il 2014 e il blocco del turnover sarà prorogato fino al 2018.

L'unica economia che non conosce recessione nella crisi è quella delle ecomafie: parliamo, secondo l’annuale rapporto di Legambiente, di un giro d'affari di 16,7 miliardi di euro che riguardano sia il ciclo illegale del cemento che quello dei rifiuti. Se è vero che il 45,7% dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia), anche la nostra Toscana è salita al sesto posto. Emblematica in questo senso la terribile vicenda dell’interramento dei rifiuti tossici nelle “Terre dei Fuochi” venuta fuori in queste ultime settimane con il desecretamento dei verbali del pentito della Camorra Carmine Schiavone.

L'italia è poi il paese in cui si è dovuta coniare la parola “femminicidio” per rappresentare un atavico conflitto nella nostra società patriarcale, quello del dominio maschile che si vede minacciato dalla libertà e dall'autodeterminazione della donna. Ecco perché la questione non può essere derubricata come un problema di sicurezza, ma va affrontata come un nodo centrale della nostra vita associata, che chiama in causa alla radice la nostra idea di piena democrazia. E va combattuta investendo in formazione e in cultura, mettendo in discussione i nostri stessi processi cognitivi e la nostra educazione sentimentale, aggredendo nel profondo i tanti stereotipi della modernità di cui, spesso, anche noi siamo vittime.

La fase, le larghe Intese

In questo quadro, il governo delle larghe intese appare una risposta fortemente inadeguata rispetto alle esigenze di cambiamento radicale che sarebbero necessarie nella fase attuale.

Dopo mesi di sterile discussione intorno alla decadenza o meno di Silvio Berlusconi, l’unico provvedimento rilevante portato a compimento è stato l’abolizione dell’Imu anche per i ricchi. Un’evidente vittoria politica del Pdl e del suo blocco sociale di riferimento che su questo tema ha scelto, vincendo, di giocare una propria battaglia elettorale e populista.

Anche la legge di stabilità, di cui stiamo ancora discutendo, pare essere caratterizzata da alcuni provvedimenti cardine totalmente inadeguati a far fronte alla crisi economica in atto; anzi rischierebbero proprio di aggravarla. Poca cosa, infatti, sarebbero i 14 euro in più nella busta paga dei lavoratori; dannosa risulterebbe la reiterata politica di tagli dei trasferimenti agli enti locali e alle Regioni (con ricadute molto gravi soprattutto sulla sanità); vessatoria la famigerata Trise (Tassa sui rifiuti e sui servizi) o forse Tuc (Tributo Unico Comunale). Questi provvedimenti se stabilizzano qualcosa, stabilizzano la crisi del Paese.

Il punto di partenza della nostra analisi deve essere, a mio avviso, la sconfitta del centrosinistra e, di conseguenza, la sconfitta di Sel che su quella alleanza di governo aveva scommesso a partire dalla piattaforma Italia Bene Comune e dalle primarie per la scelta del candidato premier. Una sconfitta che si è manifestata alle elezioni politiche di febbraio, con i 101 franchi tiratori per l’elezione di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica e con la formazione del governo Letta. La sconfitta, però, era maturata già in precedenza con il sostegno del principale partito del centrosinistra al governo di Mario Monti, con una campagna elettorale tutta tattica e politicismo che guardava a Monti e, più in generale, con l’immagine di un centrosinistra sommatoria di ceti politici già ampiamente sconfitti. Mancava l’anima, mancavano i giovani, mancavano i movimenti e le associazioni; mancavano i protagonisti delle vittorie alle amministrative e ai referendum della primavera 2011, mancava l’invasione di campo di coloro che erano stati i protagonisti di queste vittorie.

Sinistra Ecologia Libertà

La parola d’ordine del primo Congresso di Sinistra Ecologia Libertà, nel 2010, era “riaprire la partita”. Probabilmente, in qualche modo, Sel era pure riuscita a farlo, almeno fino alla nascita del governo tecnico. Poi la partita è stata persa perché chi doveva giocarla non è sceso in campo.

E dunque: che fare? può essere Sinistra Ecologia Libertà un soggetto politico utile nella fase attuale?

La via è, evidentemente, stretta.
Due strade davanti a noi potrebbero sembrare semplici da percorrere. Una si configura come l’adesione a un riformismo senza riforme, che non riforma nulla: sarebbe l’appiattimento su una realtà considerata ormai come non modificabile. La parola chiave per chi usa questo approccio è responsabilità. L’altra si presenta come l’antagonismo sterile, minoritario e residuale di chi si limita alla denuncia, di chi non pone il governo dei processi come necessario  sbocco della propria azione politica. Entrambe hanno il difetto di non concorrere alla trasformazione dello scenario attuale.

La nostra via, invece, è più stretta e, di conseguenza, più difficile da percorrere. E’ più difficile perché il centrosinistra è oggi un campo interamente da ricostruire. Molte forze lavorano perché questo non avvenga. Ci vogliono molti sforzi per mettere un mattoncino in questa direzione e basta poco per gettare tutto al vento. Il nostro partito deve riuscire a mantenere ferma la barra sui contenuti che ci contraddistinguono: dalle politiche del lavoro all’ambiente, dal reddito minimo garantito agli investimenti sulla formazione passando per il rafforzamento di un nuovo welfare, la pace e la realizzazione dei diritti civili. Più in generale, dobbiamo provare ad avere quella che Carlo Emilio Gadda chiamava “cognizione del dolore”.

Sel deve, al tempo stesso, mantenere la speranza di portare questi temi dentro un campo più largo del nostro perché quello, e solo quello, può essere il luogo dove si può innescare cambiamento. Un luogo, sociale e politico, dove si può avere la possibilità di incidere sulla vita delle persone. Il nostro orizzonte, per dirla con Mario Tronti, deve essere “l’estremo possibile”. E nel campo largo non devono trovare spazio solamente i partiti. Il Partito Democratico, Sel e altre forze del centrosinistra da sole non bastano. Lo abbiamo, nostro malgrado, già sperimentato alle ultime elezioni politiche. Anzi, di più, le forze politiche hanno senso solamente se sapranno intrecciare la loro azione con le istanze del popolo che il 12 ottobre è sceso in piazza con Landini e Rodotà a difesa della Costituzione, con le proposte della campagna “Miseria Ladra” promossa da Libera e con le parole d’ordine dello sciopero generale confederale del 14 novembre.

Per fare questo è necessario un rafforzamento del nostro partito a tutti i livelli, a partire da un forte rilancio della sua proposta politica e della sua autonomia.
Il partito che vorrei è un partito inclusivo, aperto e rinnovato nelle forme e nella partecipazione. Un partito che investa sul tesseramento, sull’organizzazione e sul radicamento nei territori ma che, contemporaneamente, sia pronto a sperimentare incontri, collaborazioni e “rimescolamenti” con le forze della società civile che incontreremo sui temi del cambiamento.

I prossimi mesi: dall’Europa a Pisa

Mentre nuove elezioni politiche paiono allontanarsi, si prefigura all’orizzonte l’appuntamento delle elezioni europee.

Le elezioni europee più che in passato assumono oggi centralità. E’ sempre più l’Europa, infatti, il luogo dove si prendono le decisioni che toccano la carne viva delle persone. E l’Europa di questi anni non ci piace. Al Fiscal Compact, alle politiche di austerità e all’imperativo del pareggio di bilancio della cosiddetta Troika (Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea, Unione Europea) contrapponiamo un Social Compact basato su un New Green Deal, su politiche fiscali condivise, sulla tassazione delle rendite finanziarie, sulla riconversione ecologica dell’economia, su politiche di occupazione e reddito per tutti, sull’estensione dei diritti e sul welfare universalistico. La nostra prospettiva deve essere la costruzione di un‘Europa dei popoli, cosmopolita e federalista, che inizi ad assomigliare all’Utopia di cui parlava Altiero Spinelli nel suo Manifesto di Ventotene.

Con l’ambizione di ridisegnare la nuova Europa, Sel ha scelto di provare a giocare la sua partita nel campo largo. La nostra collocazione sarà, infatti, nel socialismo europeo, il luogo da cui, in raccordo con le culture critiche rappresentate dalla sinistra europea e dagli ecologisti, si può puntare a quello che Nichi Vendola, nel documento congressuale  “La strada giusta”, ha definito un “nuovo processo costituente dell’Europa che inizia da una revisione dei trattati e dalla costruzione dell’Europa politica”. Il nostro candidato a Presidente della Commissione Europea sarà l’attuale Presidente del Parlamento Europeo, il tedesco Martin Schulz. Le parole d’ordine con cui ha iniziato l’avvicinamento alle elezioni - meno austerità e più solidarietà, lotta alla disoccupazione giovanile e redistribuzione  della ricchezza - sono per noi particolarmente significative soprattutto perché hanno il merito di porsi in radicale alternativa rispetto a quelle dei sostenitori dell’ineluttabilità delle larghe intese in Italia e della Grosse Koalition in Germania.

Nella prossima primavera saremo anche impegnati nelle elezioni amministrative.

Nel nostro territorio provinciale voteremo in importanti comuni: San Giuliano Terme, Pontedera, Ponsacco, Calcinaia, Montopoli, Castelfranco di Sotto, Santa Croce Sull’Arno, San Miniato e Volterra solo per citare i più popolosi. Questo voto assume un particolare rilievo in un momento storico in cui le amministrazioni comunali, strette dai vincoli del Patto di Stabilità e dai continui tagli del Governo, faticano a garantire ai cittadini i servizi fondamentali.

Pur in una fase così difficile, il nostro obbiettivo deve essere la costruzione di coalizioni di centrosinistra che pongano al centro determinate discriminanti programmatiche. Ecco alcuni assi di intervento per noi fondamentali: rafforzamento dei servizi socio-educativi, tutela e manutenzione del territorio; qualità dell’ambiente considerato come volano di sviluppo locale; difesa del lavoro buono; taglio dei costi alle società partecipate; rafforzamento del trasporto pubblico locale; mobilità sostenibile; implementazione dei luoghi di aggregazione; più cultura e più sport accessibili a tutti. Per garantire l’erogazione dei servizi e le politiche volte alla tutela e all’inclusione dei più deboli appare ineludibile, ancora di più al tempo della crisi, il tema del reperimento delle risorse. In una fase così difficile, infatti, i costi devono ricadere su chi ha di più sia a livello di reddito che a livello di beni immobili in modo da salvaguardare il principio di uguaglianza e giustizia sociale.

Dai Comuni può anche ripartire, un po’ come fu nella primavera del 2011 per Milano e Cagliari, la costruzione di un centrosinistra che possa aspirare a cambiare il Paese.

Nichi Vendola nel documento congressuale ha scritto che il centrosinistra è oggi un campo da ricostruire. Questa è, semplicemente, la sfida di Sinistra Ecologia Libertà per gli anni a venire.

Io spero di poter dare un piccolo contributo in questa direzione. La via è stretta, è vero,  ma penso meriti provare a percorrerla insieme.

Francesco Cecchetti

lunedì 25 novembre 2013

Nasce a Pisa "Le Città in Comune"

Liste di cittadinanza unite per un’altra idea di città: al via tre campagne su austerità, beni comuni, recupero del territorio

Disobbedienza al Patto di Stabilità, rigenerazione e valorizzazione sociale del patrimonio immobiliare in disuso, difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici. Queste sono le tre melodie composte a  Un’altra musica in Comune –  l’appuntamento promosso da 11 liste di cittadinanza a cui si sono aggiunte altre esperienze amministrative provenienti da sud a nord.

I tre giorni di assemblee hanno visto la partecipazione attiva di numerose "Città in Comune", tra cui: perUnaltracittà (Firenze) – Ancona Bene Comune – Appello per L’Aquila – Brescia Solidale e Libertaria per i Beni Comuni – Brindisi Bene Comune – Cambiamo Messina dal basso – Cittadinanza e Partecipazione (Feltre) – Imperia Bene Comune – Una città in comune (Pisa) – Repubblica Romana – Sinistra per Roma - Sinistra per Siena. Queste liste di cittadinanza hanno animato il dibattito, i  tavoli di lavoro e i seminari che si sono conclusi con l’elaborazione di tre campagne che sin dai prossimi giorni troveranno concretizzazione dentro e fuori le aule consiliari.

La prima centrata sul dovere dei sindaci di fare fronte all’emergenza sociale e di tutelare la sicurezza idrogeologica del territorio e delle scuole, superiore al mandato di rispettare i vincoli di bilancio imposti dal Patto di stabilità.

La seconda sul federalismo demaniale e sul patrimonio immobiliare pubblico e privato da riutilizzare – a partire dalle caserme in dismissione - per creare lavoro, cultura, nuovo welfare e rispondere all’emergenza abitativa che cresce nelle città.

La terza riguarda la ripubblicizzazione e la trasparenza di gestione dei servizi essenziali - come acqua, trasporti e gestione dei rifiuti – attraverso mobilitazioni, interrogazioni, proposte di delibere e di modifiche degli Statuti comunali, per attuare in ogni città le intenzioni espresse nell’esito referendario del giugno 2011.

Le liste di cittadinanza riunite si sono date il nome di “Le Città in Comune”, per sottolineare una verità semplice oggi negata: le città sono di tutte e tutti coloro che le abitano, servizi essenziali e spazi pubblici sono proprietà collettive da amministrare per il bene delle e dei cittadini e non per quello delle banche e dei costruttori, anche prevedendo azioni di “forzatura” legislativa se necessarie. Autonomia della politica dall’economia di mercato, lotta culturale e politica ai vincoli di bilancio “imposti” alle amministrazioni locali, perché le città siano teatro di un’alternativa alle politiche di austerità e alle larghe intese. Non a caso si è scelto anche di aderire alla campagna contro la povertà promossa da Libera, “Miseria Ladra”.

Da Pisa le città iniziano un cammino per una nuova pratica del “comune”, che muove dal radicamento territoriale e guarda con attenzione e partecipazione a tutte le forme di autogoverno e di buone pratiche che si stanno moltiplicando nella nostra società. L’incontro avrebbe dovuto svolgersi all’Ex Colorificio della città toscana, sgomberato un mese fa, caso esemplare di come un luogo abbandonato possa essere riportato in vita grazie all’attivismo sociale e di quanto sorda possa essere un’amministrazione comunale davanti alle nuove esperienze di uso civico degli spazi abbandonati.

Le Città in Comune

domenica 24 novembre 2013

Intervento di Ettore Bucci al Congresso Federale SEL Pisa

Riceviamo e pubblichiamo l'intervento di Ettore Bucci al congresso federale di SEL Pisa, tenutosi il 22 e 23 novembre a Fornacette. L'intervento è pubblicato sul suo blog.

Nella sua relazione introduttiva, Dario Danti ha fatto un riferimento che condivido. Un riferimento che è importante per chi fa politica, per chi vive la politica quotidianamente. È il riferimento agli errori. Quelli collettivi, che vanno assunti e analizzati. Che fanno crescere e consentono a tutti di evitarne la ripetizione.
Intervenire nel dibattito congressuale significa evitare l'errore dell'auto-narrazione, della commiserazione, della retorica. Intervenire nel dibattito congressuale significa definire le finalità della nostra organizzazione per darci strumenti con cui arricchire il dibattito pubblico e politico, attraverso una relazione coerente con la fase storica.
“Il mondo e la sua rappresentanza è cambiata” ci ha detto il sindaco di Calcinaia nel suo intervento introduttivo. Trovo quest'espressione estremamente calzante con la nostra fase storica. Nel 1997, durante il congresso di un grande partito della sinistra storica e riformatrice, un altezzoso e presuntuoso dirigente assalì Sergio Cofferati e, con lui, la lotta politica e sociale di un sindacato sempre in campo per promuovere i diritti, mentre i riformisti europei declinavano verso la flexsecurity, verso la precarietà. 

“Rappresenteremo – diceva Massimo D'Alema - sempre di più soltanto un segmento del mondo del lavoro, quello che sta in mezzo, quelli che non sono sufficientemente professionalizzati per negoziare da soli, oppure in basso, quelli che vivono nel mondo del lavoro nero, non tutelato e precario”. 

Più di tre lustri dopo, è stata la rappresentanza politica a crollare, non certo la rappresentanza sociale.

Il crollo della rappresentanza politica non è solo legato all'emersione di un tasso sempre più alto di astensionismo. L'Italia, a differenza della massima parte delle nazioni dell'Europa e dell'Occidente, detiene ancora una percentuale consistente di cittadini che si recano alle urne. Gradualmente, tuttavia, si corre verso le affluenze tipiche degli altri Paesi Europei e del mondo anglosassone.
Il crollo della rappresentanza politica lo possiamo e lo dobbiamo leggere nel crollo della "rappresentanza tradizionale" espressa da quello che è, ormai, solo un orpello retorico: il centrosinistra. Campo democratico, area progressista, qualunque formula sia. 

Chi è e cosa rappresenta? 
Ce lo racconta Ilvo Diamanti nella sua analisi della composizione socio-professionale del voto 2013, fornita da Demos.it su dati raccolti dall'Università di Urbino. Scopriamo così che le categorie che il "centrosinistra" rappresenta peggio sono gli operai (Movimento5Stelle 40%, Centrodestra 25,8%), lavoratori autonomi (M5S 40,2%, Cdx 34,6%), disoccupati (M5S 42,7%, Cdx 23,7%). Le categorie rappresentate un po' meglio sono i liberi professionisti (M5S 31,3%, Centrosinistra 29,6%), studenti (M5S 29,1%, Csx 27,4%), casalinghe (Cdx 43,3%, Csx 24,6%). Il centrosinistra rappresenta bene, pertanto, i funzionari (Csx 32,4%, M5S 27,1%) e pensionati (Csx 39,5%, Cdx 32,3%).

Cosa ci raccontano questi dati? Che il punto non è l'alternativa fra partito leggero e pesante, personale e impersonale. La questione è rappresentare politicamente qualcosa e qualcuno. Essere di parte, ma per tutti. La questione è che non possiamo rinchiuderci negli schematismi, rivendicare la "speranza del centrosinistra" non avendo neanche l'accortezza di riempire questa formula di un contenuto politico di trasformazione, fondato sull'alleanza con pezzi sociali impegnati sul campo del cambiamento.

Chiedeva giustamente Dario, nella sua relazione: le insorgenze si rappresentano in politica? Non ho la pretesa della verità in tasca, ma tre racconti dei nostri giorni possono dimostrare che se la politica si paralizza e sceglie la subordinazione -alla tecnica, al politicismo che sceglie la riproduzione delle classi dirigenti, ai poteri economici più forti- allora le insorgenze, certamente,possono rappresentarsi in politica. Diversamente, a seconda di quello che offre il contesto.

La Grecia. L'auto-rappresentazione dell'insorgenza è, per nostra fortuna, l'alternativa governante sancita dalla coalizione di forze in rivolta costituitasi in partito. Syriza, che con Alexis Tsipras dobbiamo guardare con intelligenza e rispetto.
La Francia. Malgrado le buone azioni del governo socialista e del nostro compagno François Hollande, il disagio e la rabbia sociale si scatena in una rinnovata e perimetrale esigenza di sovranità, che è colta da Marine Le Pen e dal Fronte Nazionale, mai così pericoloso come in questi anni. Di fronte agli euro-populisti di chiaro stampo fascista, è necessario affermare i valori dell'Europa sociale e dichiarare lo smantellamento delle tecnocrazie, politicizzando la commissione europea e impostando un governo politico dell'economia continentale, col PSE e con Martin Shulz. Perché non si va nel PSE immaginandosi una replica del "centrosinistra": non avremmo capito nulla dell'Europa.
Messina. Renato Accorinti, opponendosi con genuina bellezza al candidato dei democratici e dei centristi e canalizzando l'esigenza di trasformazione dei suoi concittadini, ha costruito l'alternativa governante con cui, adesso, Sinistra Ecologia e Libertà collabora.

Quale ruolo ha un partito, in questo contesto?
Quello della rappresentazione politica.
C'è bisogno di sinistra, direbbe Renzo Ulivieri?
Si, se rispondiamo alla condizione dell'autonomia.

La rappresentazione politica, nella mia vita, è frutto di due culture.
La cultura del governo. Ossia della consapevolezza della complessità.
La neghiamo, fra di noi, ogni volta che guardiamo con preconcetti il compagno che sale sul palco per proporre un contributo. 
La rilanciamo quanto torniamo a ribadire pratiche di apertura e di coinvolgimento collettivo, come con la proposta -che condivido- di un'assemblea programmatica verso le elezioni amministrative 2014.

La cultura dell'organizzazione. Ossia dell'esigenza di unmetodo.
La neghiamo tutte le volte che riduciamo l'esigenza di un partito a un feticcio da esibire in maniera minoritaria o come una bandiera disposta a soggiacere senza fondarsi sull'autonomia.
La rilanciamo tutte le volte che diamo forma a strumenti nuovi di democrazia interna, come con la centralità dei circoli cittadini, dei forum tematici e di amministratori, della consultazione diretta degli iscritti e delle iscritte, come proposto dai compagni del Circolo di San Miniato.

L'autonomia politica della sinistra. Un elemento da promuovere, se non lo facciamo con l'ansia di cadere nell'autismo. Un seme destinato a morire senza dar frutto, se non viene analizzato e impostato correttamente.
Ho condiviso e condivido col compagno Alessio Bellini una certa attenzione verso Mario Tronti, che credo abbia dato una delle migliori definizioni di questo elemento:

"Quando la politica si autonomizza corre il rischio dell'autoreferenzialità. Un rischio da correre. La crisi della politica di oggi non è per troppa autonomia, ma per troppo poca. Lo statuto autonomo della politica non viene contestato dai poteri forti, ma dai poteri deboli, l'opinione diffusa, il senso comune di massa, l'ideologia della società civile. La politica va in crisi quando non riesce a esercitare il suo primato e non riesce a esercitare il suo primato quando non ha la forza della sua autonomia".

Buon viaggio a tutte e tutti.

mercoledì 20 novembre 2013

Una risata ci seppellirà? Dopo la bufera, un racconto da Taranto

A cura di un compagno tarantino.

Mi hanno chiesto in tanti,nel pieno della bufera provocata dalla pubblicazione dell'audio della telefonata fra Girolamo Archinà e Nichi Vendola da parte del Fatto Quotidiano, quale fosse il mio pensiero e il mio stato d'animo.
Non ho voluto commentare a caldo, perché di fronte a certe vicende è meglio provare a "far sbollire" le emozioni per essere quanto più lucidi possibile nel commento.
Una premessa: trovo il titolo dell'articolo del Fatto molto scorretto e fuorviante,un'operazione dal punto di vista giornalistico deprecabile. Basta ascoltare l'intercettazione per capire che Vendola non stesse ridendo dei morti di tumore. Ma non è questo il punto.
Il punto sta nel fatto che quelle risate fanno a pugni con l'immagine che molti (ed in particolare gli elettori, i militanti,i simpatizzanti di Sel) avevano dei rapporti fra grande industria e Regione Puglia. Un conto infatti è la dialettica fra i rappresentanti istituzionali e lo stabilimento produttivo più grande d'Italia, un altro è la sensazione di eccesso di confidenza che emerge dalla telefonata, tantopiù se consideriamo che spesso dal palco lo stesso Vendola aveva rimarcato in campagna elettorale il suo essere stato sempre "con la schiena dritta" davanti ai Riva.

Quella telefonata non è inopportuna: è sgradevole. Sgradevole perché si ride di un episodio tristissimo, indipendentemente da chi sia Luigi Abbate (poteva essere anche Feltri,per quello che mi riguarda,non sarebbe cambiato nulla). Vendola si è poi scusato e questo non è da tutti visto i tempi che corrono, ma la sensazione spiacevole resta.
Paolo Hutter sul blog del Fatto prova a giustificare la telefonata, dicendo che sostanzialmente "Vendola prende in giro Archinà" e usa quei toni per una sorta di captatio benevolentiae, una mossa di teatro, di diplomazia, per attenuare un conflitto sul piano pubblico e fattuale. E' possibile,l'ho pensato anch'io. Ma il popolo che ha creduto in Vendola, che l'ha sostenuto e votato, non può accettare che anche lui sia vittima di questo sdoppiamento fra "palcoscenico" e "retroscena", tanto più che quella confidenza (vera o falsa che sia) è rivolta al responsabile delle relazioni esterne di una famiglia fra le peggiori che il capitalismo italiano abbia mai espresso (i Riva non sono soltanto degli inquinatori: sono anche quelli che dopo aver comprato per due soldi lo stabilimento hanno messo in campo strategie di mobbing, marginalizzato i sindacalisti scomodi, portato avanti un sistema di gestione feudale della risorse umane - e questo è risaputo da tempo).
Il Presidente della Regione paga insomma,ancora una volta, il fatto che "grandi aspettative generano grandi delusioni". Perché quell'atteggiamento disinvolto al telefono verrà inevitabilmente associato agli errori (veri o presunti) commessi dal punto di vista politico nella gestione di una patata bollente come quella dell'ILVA.
E' quindi questo, il nodo: possiamo dire che in questi 9 anni la Regione abbia fatto tutto quello che era possibile fare per risolvere il dramma di Taranto, senza inciampi, frenate, valutazioni errate? I dispositivi legislativi arrivati dopo 50 anni anni di silenzi e omissioni sono stati passaggi importantissimi, ma allora perché da due anni a questa parte si è consumato un vero e proprio strappo fra molti tarantini ed il Presidente della Regione che pure avevano sostenuto? Siamo sicuri che dal punto di vista comunicativo e della relazione con "la pancia della città" non siano stati commessi errori? 
Dovremmo provare a rispondere a queste domande senza pregiudizi, ed il congresso di SEL serve proprio a questo: lo dico da elettore di quel partito, da ragazzo che a fatto di parte di quelle "Fabbriche di Nichi" che hanno rappresentato una stagione di impegno e di partecipazione importante, finita troppo precocemente. Ora un'altra fabbrica rischia di rappresentare la fine di un'era: non ce ne usciamo con le difese d'ufficio né abbandonando la nave che affonda. Ce ne usciamo se torniamo a ragionare collettivamente su errori,conquiste,punti di avanzamento e passi in dietro di questi anni; se archiviamo la stagione del leader carismatico indipendentemente dalle vicende di questi giorni e ci impegniamo nella costruzione di quel partito di sinistra aperto,plurale,moderno in linea con le ragioni fondanti di SEL.
Per ironia della sorte, in questi gironi difficili la mia posizione personale mi permette di entrare in empatia con più punti di vista: sono tarantino, non posso quindi che avere una sensibilità particolare per le vicende della mia bellissima e sfortunata città. Sono parte di una famiglia che si è dovuta confrontare in questi mesi ben due volte con "il male dei nostri tempi", e non posso che condividere la sete di giustizia di chi si batte per la tutela della salute e per l'accertamento delle responsabilità. Sono un giornalista, non posso che commentare con rammarico i passaggi della telefonata intercettata "sul cronista provocatore da zittire"; ma sono anche parte di una comunità politica chiamata Sinistra Ecologia e Libertà, condividendo con i compagni sfide e momenti difficili (l'inaspettata vittoria del 2005, la disfatta della Sinistra l'Arcobaleno, la ricandidatura a fatica ottenuta nel 2010 dopo il tira-e-molla con D'Alema) e stando paradossalmente controcorrente nel momento di massima espansione (i due anni successivi alla rielezione, mentre quella di Vendola sembrava una scalata possibile alle vette del Potere nazionale - ahimè,temo si stia scontando quell' 'eccesso di euforia').
E allora mettiamo al bando i manicheismi, le verità di parte, le macchine del fango, il servo encomio ed il codardo oltraggio: torniamo a ragionare di politica. Chi ha la passione e la coscienza a posto dalla sua parte non ha paura del confronto e dello scontro dialettico.
Il futuro ci dirà qualcosa in più sui fatti di questi anni e sull'uomo che ha incarnato un'intera stagione, che per chi scrive ha rappresentato per anni un punto di riferimento politico importantissimo: potete capire quanto mi addolori la situazione e il circolo della gogna mediatica in moto da qualche giorno.
Ma ora è il momento di rimboccarsi le maniche e continuare la battaglia: perché i leader,i soggetti politici, i gruppi dirigenti possono passare ma i problemi di Taranto,dell'Italia,dell'Europa rimangono davanti a noi e le speranze di milioni di uomini e di donne che nel mondo non hanno diritti né voce non possono essere deluse.
Altrimenti, davvero, non ci sarà proprio nulla da ridere.

martedì 19 novembre 2013

Un atto d'amore incompreso?

di Ettore Bucci, pubblicato sul suo blog.

Alla fine di gennaio 2014 si terrà il congresso nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà.
Fra il 22 e 23 novembre, a Calcinaia, si riunirà il congresso federale di Pisa.

Quando nell'agenda ti casca l'occhio su questi appuntamenti e sei una persona impegnata da anni nelle forze politiche o nelle organizzazioni sociali, provi un certo interesse. 
Anche delle emozioni. Finanche entusiasmo.

Poi, se hai un minimo di lucidità, poggi i piedi per terra, spingi il naso oltre il portatile e vedi le facce che ti stanno intorno. Ragazzi che scorrono rapidi le pagine di un esame per confermare una borsa di studio. Ricercatori con un sorriso scanzonato ma che sai perfettamente dovranno fare i salti mortali per non restare nel perimetro della precarietà a vita. Semplici disinteressati. Quello lì che mi fa le pulci ogni volta che gli consegno un volantino in carta non riciclabile. E quell'altra con cui -maremmamaiella!- devo prenderci assolutamente un caffè. Per parlarci di politica, beninteso.

Con i piedi e la testa nella realtà. Per provare, come mi consiglia quella movimentista di Tiziana, a non essere politicista. Il che, detto da una neo-movimentista...

Se cominci a esulare dalle filastrocche di Nichi e t'immagini che senso possa avere la militanza politica per chi ti sta intorno e prova anche la più grande indifferenza, forse caschi nello scoramento. O, almeno, provi a tacere un po'. Perché, fino agli anni Ottanta, aveva senso il Partito che veniva da te a “insegnare”. Adesso, sono le persone a scegliere di dare o non dare qualcosa ad una esperienza collettiva.

Lasciamo stare per un attimo la sociologia.
A che serve, nell'epoca della post-modernità, la sinistra?
A che serve, in particolare, la sinistra eventualmente organizzata in partito?

Renzo Ulivieri ha portato un contributo apprezzabile e interessante.
Contro ogni idea antistorica di chiudersi in una nicchia identitaria, contro ogni idea minoritaria di assimilarsi in maniera acritica in un indistinto “centrosinistra”, il “compagno Mister” si pone una domanda. C'è bisogno di sinistra?
La bellezza della riflessione è il suo coraggio di rompere le barriere. Di non essere schiavo del provincialismo ma di parlare a una cornice ampia, evitando polemiche spicciole.

C'è aria di sinistra nella vicenda dello shutdown degli Stati Uniti. Il blocco dei finanziamenti al governo federale, imposto dai conservatori (maggioritari in uno dei due rami del Congresso) e che ha spinto al ricatto il presidente Obama: o la fine della riforma sanitaria che ha garantito a milioni di indigenti statunitensi le cure mediche di base o il crollo della macchina amministrativa degli Stati Uniti e l'abisso della bancarotta. Barack Obama, non certo un comunista, ha vinto, tenendo il colpo e chiamando a raccolta i suoi concittadini in una sfida aperta contro l'ineguaglianza, contro l'austerità. I diritti sociali, l'uguaglianza e le pari opportunità costituiscono una concreta possibilità, dunque. Spiegatelo al "nientalista", per favore.

C'è bisogno di sinistra, dopo i durissimi risultati del primo anno di governo socialista in Francia. Malgrado i positivi input lanciati in campagna elettorale e una serie di importanti conquiste (legge sui matrimoni omosessuali, 1 miliardo in più su scala pluriennale alle borse di studio e alla ricerca, agganciamento dello stipendio dei manager di Stato a quello degli impiegati in un rapporto massimo 20:1, riduzione degli stipendi dei politici) l'azione della sinistra di governo traccheggia ed è incerta. I socialisti vengono ormai battuti in ogni confronto elettorale parziale. E non vengono sconfitti dal “centrodestra repubblicano”, ma dal Fronte Nazionale di Marine Le Pen, oggi in testa in tutti i sondaggi. 

Se a questo aggiungiamo il perdurante consenso dei conservatori in Germania e le difficoltà con cui la socialdemocrazia sta provando a incassare un programma comune di governo non del tutto egemonizzato da Angela Merkel -emblematica la vicenda del salario minimo- non possiamo che domandarci: c'è davvero bisogno di sinistra?

Gli eventi ci consegnano alcune riflessioni, fondamentali da assumere affinché l'adesione al PSE non sia solo un comodo apparentamento, la preferenza di un “campo”, magari più organizzato dei Verdi e della Sinistra Europea. Un PSE che ho imparato a conoscere, dall'interno, proprio nel caso francese. Le principali forze politiche del PSE, in testa la socialdemocrazia tedesca, hanno espresso una condotta politica autistica, pavida, tatticista. 
Hanno rifiutato di riconoscere esperienze altre rispetto a sé. 
Ancora peggio, non hanno provato a problematizzare input provenienti da forze pur cariche di limiti come Die Linke o Syriza; quest'ultima, in particolare, non è una esperienza da riprodurre seccamente con tono minoritario, come alcuni esprimono: Syrizia esprime la radicalità ponderata di forze d'alternativa che credono nell'Europa dei diritti, della democrazia e dell'uguaglianza sociale. 
Riconoscere il bisogno di sinistra implica aderire al PSE, dunque, per rompere con l'autismo, aderire importando un patrimonio collettivo importante. 

Nel documento nazionale presentato per il secondo congresso di SEL, Nichi Vendola afferma che il Partito Democratico, che oggi finisce la prima fase congressuale dando una maggioranza relativa a Matteo Renzi, non è il nostro destino. 
Espressione importante. Forse un po' limitata. Dettagliamo. Altrimenti che congresso è?

Morire di tatticismo non deve essere il nostro destino. 

Attraverso la fase congressuale abbiamo l'occasione di acquisire il senso profondo della quotidianità nell'azione politica: anche da qui si può cogliere l'utilità, il bisogno di sinistra. C'è un bivio di fronte a noi: rinchiuderci in avamposti marginali o puntare in alto, sprovincializzando il dibattito, dando linfa alla nostra politica. Come direbbe un meraviglioso compagno come il pisano Stefano Scorrano, rendere il partito un laboratorio collettivo, una casa accogliente in cui praticare democrazia.

L'urgenza di questa speranza è data dalla fase che viviamo. 
Le larghe intese sono il baratro dei rinvii, dei silenzi, delle pacificazioni più inique. Dei finti finanziamenti all'istruzione col DL 104/2013 (“decreto Carrozza”), della sostituzione dell'IMU con l'IVA al 22% e con una tassazione che, come hanno posto i movimenti universitari, graverà su soggetti deboli come gli studenti fuori-sede.
Nell'Italia del 40,1 % di disoccupazione giovanile, io non ho bisogno di Marco Travaglio, degli editoriali di Scalfari, delle lacrime da coccodrillo dopo Lampedusa. Voglio buone idee e il coraggio di praticarle. 
Buone idee come le “sette parole” della campagna nazionale di SEL, “la Strada giusta”. Anche qui, come praticare la buona politica? Prendendo le campagne nazionali e studiarle, applicandole al nostro territorio. Basteranno due esempi.
Piano per il riassetto del territorio e per i beni culturali”. È la chiave di lettura del destino della Sapienza, che può vedere il nostro protagonismo facendo leva sulla nostra presenza al governo della
città. Oppure dobbiamo aspettare altrui uscite pubbliche sulla stampa?
Piano per il finanziamento delle start-up”. Uno dei titoli dei giornali dell'inizio della settimana indica la presentazione attraverso l'Internet Festival di ben 50 start-up, imprese agli esordi dell'attività. Pisa significa polo tecnologico di Navacchio, CNR, Università, Sant'Anna, Scuola Normale Superiore. Come non indicarla come sede preferenziale per capire strategie e mezzi con cui rilanciare l'impresa fondandola su una positiva funzione sociale?

Iniziativa, riconoscimento delle competenze presenti nel nostro partito, responsabilizzazione collettiva rispetto alle campagne perché non si trasformino in una oziosa distribuzione di volantini. E non fatto riferimento alle vicende di #fossabanda ed #excolorificio, quest'ultima ben descritta dal compagno Francesco Biagi.

Dunque, Pisa. Città che ci vede al governo, dopo una fase di travaglio e dibattito. Una fase del passato, con cui chiudere i conti in maniera intelligente, dimostrando di aver imparato qualcosa, così da non essere ostaggi dei fantasmi.

Assumere responsabilità di governo è una espressione che si può declinare in molti modi.

Due sono quelli che preferisco, perché descrivono la cifra della nostra iniziativa, non solo nella Pisa in cui c'è una alleanza di governo, ma anche e soprattutto a livello nazionale, laddove le speranze -politiciste, in buona parte- di Italia Bene Comune sono crollate per ceti dirigenti pavidi e per una tattica definizione di “centrosinistra”. Si parli di “centrosinistra”, di "campo largo dei democratici", di "progressisti" come di “paletti programmatici”, bisogna dirsi chiaramente che o queste formule sono riempite di un contenuto politico qualificante e capace di rendere utile lo strumento di un partito autonomo, o non hanno senso. Sono formule vuote, autoreferenziali e prive di senso quando parli con i giovani che vivono l'inoccupazione o quando ti confronti con chi vive il biocidio nella Terra dei Fuochi. 
Così come non ha senso un partito autonomo.

Due espressioni per declinare la nostra azione? 
Lealtà competitiva. Aggressività pensante.

Una alleanza di governo può essere uno strumento del cambiamento o un mezzo per traccheggiare. Il nostro sindaco, Marco Filippeschi, ha riassunto il programma di mandato 2013-2018 in poche e significative espressioni. Per noi sono precisi impegni, su cui fare riflessione, proposta, confronto.
Crescita di qualità e coesione sociale. 
SEL dice tassazione equa, quando decideremo gli importi delle nuove tassazioni.
Partecipazione e trasparenza. 
SEL dice ampliamento razionale del ruolo e della legittimazione del CTP, gestione trasparente delle aziende partecipate.
Quartieri vivibili. 
SEL dice rifiuti zero e porta a porta. SEL dice no agli spazi inutilizzati, agli immobili lasciati sfitti, in barba alla funzione sociale della proprietà che abbiamo riaffermato con la nostra posizione sull'ex Colorificio.
Città dell'innovazione. Turismo attrattivo e relazioni internazionali. 
SEL dice centralità politica della cultura e del sistema dell'alta formazione, a condizione di un progetto di recupero della Sapienza, di una correlazione fra servizi e presenza dell'università, di responsabilizzazione dei poli di ricerca.

Una forza tranquilla al servizio del cambiamento.
Partito-laboratorio significa studio e proposta, unici strumenti di incisione politica laddove il tesseramento svela le nostre debolezze. Significa metodo, a partire dalle piccole cose, dalla quotidianità. Significa giocare la partita della propria autonomia in maniera intelligente e inclusiva. Perché l'alternativa è non giocare la partita.
Il nostro percorso verso la definizione dell'organizzazione e la programmazione delle sue priorità politiche nel corso dell'anno deve rispondere ai problemi individuati da tempo.

Coordinamento come strumento più esecutivo e articolato per aree tematiche aperte ai non iscritti e deleghe, perché non sia la mera riproduzione, in piccolo, del dibattito assembleare.
Uso consapevole della comunicazione politica.
Auto-formazione sui temi, sui metodi e sulle pratiche della politica, perché rifiutiamo la tuttologia.
Uso accorto degli strumenti di relazione e dibattito informatico, perché le reti sociali non divengano un vuoto sfogatoio fine a se stesso.

Ho imparato da un vescovo pugliese, fondatore di Pax Christi, una frase che ho trovato sorprendentemente nell'ultimo libro di un ex primo ministro socialista francese.
La politica è un atto d'amore. Con finalità e strumenti reciprocamente coerenti.

Questo non implica la riduzione del dibattito all'unanimismo, né tanto meno la riproduzione del dibattito in schemi cristallini e permanenti. Significa dare il proprio personale 100% nello sviluppo della buona politica, impegnarsi a fondo, con argomenti e coscienza, nei dibattiti, con radicalità. Assumendo l'idea della comune prospettiva perché, se non c'è stata una sintesi e abbiamo fatto legittimamente ricorso al voto, dopo questo non ci siano astiose e inutili ringhiate, ma compagne e compagni che si prendono per mano e viaggiano insieme.


Purché non sia un atto d'amore incompreso.