venerdì 15 novembre 2013

Lettera aperta (Il Popolo della Sinistra)


Care compagne e cari compagni,

prima di esporre qualche considerazione politica vorremmo esprimere una forte preoccupazione per lo stato di Sinistra Ecologia e Libertà di Roma e, al contempo, effettuare una ferma critica alla sottovalutazione di ciò da parte degli organismi dirigenti.

Solo il 28 ottobre è stata convocata l'assemblea provinciale di SEL dopo che questa non si riuniva da metà giugno quando si trattò di "sbrigare la pratica" relativa agli assetti della nuova giunta capitolina dopo la vittoria elettorale di Marino.

Eppure lo sviluppo repentino degli eventi locali e nazionali avrebbe richiesto un confronto collegiale ma ciò, inspiegabilmente, non è stato reso possibile.

Questo costituisce, indubbiamente, un fatto molto grave, soprattutto dinanzi al rischio di indebolimento delle potenzialità costituite dalle vittorie, prima nel Lazio e poi a Roma, dell'alleanza Italia Bene Comune.

Nei mesi che hanno preceduto le elezioni regionali si è tornati a parlare di Roma non più come “modello”ma come “laboratorio di un nuovo centro sinistra”.

Si è tornati a parlare di “campo largo di forze” assieme a chi, come Bettini, propone un "campo democratico" senza però tuttavia sviluppare contestualmente un concreto confronto programmatico-progettuale e senza individuare le forze necessarie a suo sostegno, ma delegando ai possibili candidati, alla Regione e al Comune, l'interpretazione di questo processo.

Ci si è così rassegnati troppo facilmente alla scelta repentina di Zingaretti di rinunciare alla candidatura a sindaco di Roma per avanzarla alla Regione, a cui ha fatto seguito la dichiarazione di Nichi Vendola che ha deciso di ritirare i candidati di SEL dalle primarie per sostenere Ignazio Marino.

Le vicende dell'assetto della giunta e dell'assemblea capitolina, come anche quelle del gruppo consiliare comunale di SEL, sono apparse paradossali per due ragioni fondamentali.

La prima, la parità di genere per la quale Marino si era impegnato pubblicamente a nominare quale suo vice una donna nel pieno rispetto della differenza di genere e, non da meno, il voto sovrano degli elettori veniva vigorosamente incontro alla sua volontà avendo sancito che, tra i primi tre eletti nelle liste del centro sinistra, due erano donne.

Gemma Azuni, con una consolidata esperienza amministrativa e con spiccate competenze di governo, avrebbe potuto essere una risorsa utile come vice sindaco. Ma la scelta è stata altra.

La parità di genere ha ricevuto ulteriori colpi, e così come precedentemente accaduto alla Regione si è preferito un uomo anche alla Presidenza della Assemblea Consiliare.

Il paradosso è giunto al suo culmine quando si è trattato di scegliere il capogruppo di SEL al Comune di Roma, gruppo formato da quattro consiglieri di cui tre donne: anche lì si è scelto un uomo.

Tale opzione ci porta alla seconda e non meno importante ragione, quella che ci sta più a cuore: il rapporto con i vertici della Regione e del Comune è, di fatto, delegato ai nostri compagni Smeriglio e Nieri, così come anche il rapporto con il PD e con il resto dell'alleanza di centro sinistra. Un rapporto privilegiato tra una parte, certamente importante, di SEL che dialoga e converge con una parte del PD.

Questa è la causa per la quale non emergono con sufficiente chiarezza le linee, gli obiettivi del progetto di cambiamento che il centro sinistra vuole portare avanti nella città, anzi non è chiaro quale idea il centro sinistra abbia della città.

Troppi segnali confusi e contradditori impediscono la mobilitazione e la coesione delle forze che si sono espresse per il cambiamento.

Non c'è la consapevolezza che tutto ciò non può essere risolto esclusivamente sul terreno amministrativo ma ha bisogno del conforto della politica o meglio del lavoro per la ricostruzione paziente del centro sinistra e di un suo blocco sociale e politico di ispirazione riformatrice a Roma e nel Lazio e non di un ambiguo blocco di potere.

Non è, non può essere, una questione che viene affrontata e gestita dentro la logica del rapporto tra i cosiddetti cerchi magici che operano dentro SEL e dentro il PD, quelli predestinati a dare l'impronta a tutte le scelte che riguardano il governo ed anche il sottogoverno, lo sviluppo e la vita della città, dietro le quali i media vedono e continuano a vedere Goffredo Bettini. Bel segno di rinnovamento e discontinuità con il passato!

Ecco perché occorre dare limpidezza e estensione alla vita democratica di SEL nella capitale.

Condividiamo alcune considerazioni contenute nei documenti di contributo al congresso di SEL proposti all'attenzione degli iscritti da parte di alcune compagne e compagni. Ci riferiamo specificatamente alle questioni riguardanti la vita interna del nostro movimento e al ruolo soffocante che è andata assumendo la logica delle componenti. Vorremmo rispettosamente osservare che tali considerazioni richiederebbero anche una riflessione squisitamente autocritica.

Poniamo all'attenzione un interrogativo: “ le componenti non erano state sciolte prima dell'ultimo congresso?” .

Sicuramente sono state sciolte quelle politiche, quelle che discutevano di politica.

Ma la prassi vuole che i congressi si chiudano con l'elezione degli organismi dirigenti e quindi le tre disciolte componenti, le quali tramutatesi in “ consorterie”, si sono accordate sugli equilibri interni, ovvero si sono misurate con il potere e la sua spartizione esaltando la logica dei muscoli e precipitando verso un processo degenerativo che ha fatto lievitare, in maniera impropria, il numero dei circoli e degli iscritti.

Chi non ha obbedito a questa logica e non ha accettato di essere compartecipe della stessa, è stato semplicemente escluso.

Oggi siamo andati oltre, neanche il voto del popolo sovrano viene riconosciuto e quindi si è di nuovo esclusi: si può essere i primi eletti nella lista ma se non si dichiara fedeltà e sottomissione al cerchio magico si continua a essere emarginati. SEL è divenuta una forza che non include ma si cimenta nell'esercizio dell'esclusione.

Vorremmo porre un'ulteriore questione alle compagne e ai compagni che hanno elaborato i documenti congressuali e che fanno parte non casualmente dei gruppi dirigenti: “ non siete anche voi dentro quelle componenti?” Componenti che, a quanto sembra, si disgregano e si riaggregano sulla base di interessi politici personali e di occupazione di potere.

Comunque ne prendiamo atto e finalmente possiamo affrontare il problema, ovvero la cronologia di questi ultimi tre anni, dall'ultimo congresso quello delle "componenti sciolte", ad oggi, che ci ha portato a trasformare SEL in una Rifondazione Comunista più piccola e più brutta.

Ma dove nasce questo declino, per non dire degenerazione politica, del nostro modo di essere?

Nasce dal nostro livello locale? Certamente anche da questo, ma soprattutto dal vuoto politico e strategico di SEL a livello nazionale e dall'assenza o dall’insufficienza grave di linea politica.

Non basta riempire questo vuoto con la "narrazione" anche se lodevole. Occorre/occorreva avere una linea e svolgere una funzione politica. Ma questo non si ottiene scegliendo di stare sulla scia del PD in attesa delle sue mosse, delle sue prese di posizione, per potersi poi muovere e vivere di rendita.

Mai un confronto serrato, un corpo a corpo, una continua azione incalzante. No, siamo rimasti sulla scia: di Bersani e persino di Bettini. Insomma un piatto e subalterno politicismo che ci conduce persino a riformulare i giudizi espressi in altri tempi su Renzi per accettarlo oggi come possibile futuro leader del centro sinistra.

Lui, il più berlusconiano dei dirigenti del PD, come risposta alla fine del ventennio di Berlusconi e all'inizio del declino del berlusconismo.

In questi mesi abbiamo subito duri colpi: il primo lo abbiamo accusato paradossalmente da un voto che ci ha permesso di tornare in Parlamento. Un voto appena sufficiente per giovarci assieme al PD del premio di maggioranza ma inequivocabilmente insufficiente per dichiararlo una vittoria elettorale del centro sinistra. Il voto dice anche che non ci discostiamo da quel 3% preso dall'Arcobaleno, risultato che ci lascia nella marginalità e pone un interrogativo grave sulla nostra funzione e sul futuro della nostra missione politica (quella di costruire una nuova e grande forza della sinistra italiana).

Il secondo colpo lo abbiamo subito alla prima prova parlamentare: l'elezione del Presidente della Repubblica. In quell'occasione l'alleanza Italia Bene Comune per responsabilità dei 101 si è disciolta. Ancora una volta, come nel passato per responsabilità grave di D'Alema -Veltroni - Bertinotti, l'affossamento di Prodi ha rimesso in gioco Berlusconi aprendo la strada al governo di larghe intese dopo la rielezione di Giorgio Napolitano.

Abbiamo fatto bene a chiamarci fuori e votare contro la costituzione del governo Letta ma siamo risultati marginali perché la nostra forza numerica in Parlamento, soprattutto in Senato, è del tutto insufficiente e anche perché essendo venuta meno la nostra linea politica la nostra opposizione è stata oscurata da quella di altri, prevalentemente da quella del Movimento 5 Stelle.

Abbiamo perso la lucidità politica accorgendoci di essere in balia degli eventi, stretti tra il rifiuto dei grillini e la sconfitta di Bersani abbiamo preso la scorciatoia e con una inversione di marcia senza motivazioni politiche siamo montati sul carro di Renzi anzi abbiamo cominciato a spingerlo.

Cosa condividiamo politicamente con Renzi? E' contro le larghe intese? Risulta che qualche suo parlamentare di riferimento abbia votato contro il governo Letta, così come ha fatto Civati? Gli è risultato più facile inserire i suoi uomini dentro quel governo? Non c'entra nulla con i 101? Ha votato Rodotà anziché Napolitano?

Insomma è il Renzi delle primarie, quello di fede blairiana e di cultura berlusconiana, niente di nuovo, eppure abbiamo scelto di dare segnali non equivoci in suo sostegno come se la vicenda dell'elezione del nuovo segretario del PD ci vedesse coinvolti alla pari delle numerose correnti interne al PD stesso, come se le sue motivazioni critiche sulla natura del PD coincidessero con le nostre.

Il terzo colpo l'abbiamo subito nella vicenda provocata da Berlusconi che in difesa dei suoi interessi personali ha aperto la crisi di governo e imposto un voto di fiducia. Al paese sono apparse due soluzioni: affossare il governo Letta e salvare Berlusconi o viceversa.

La vicenda ci ha visti smarriti e impauriti, senza idee, incapaci di svolgere una qualsiasi funzione politica, arroccati sul nulla, incapaci e ostili nel valutare le novità costituite dalla fine di Berlusconi e del suo ventennio (che non significa fine del berlusconismo e della tenace volontà del Cavaliere di rimanere in sella) e da un quadro politico nuovo determinato dalla frattura dentro il centro destra.

SEL era di nuovo nella condizione di uscire dalla marginalità politica parlamentare e di poter svolgere una funzione politica autonoma e visibile se avessimo avuto la convinzione e il coraggio di rispondere ad una domanda: se i voti dei sette nostri senatori fossero stati determinanti cosa avremmo fatto? Avremmo scelto di affossare il governo Letta e di conseguenza salvare Berlusconi? O ci saremmo confrontati con la novità?

Non si trattava di rimettere in discussione il giudizio e il voto al governo delle larghe intese, ma appunto di valutare le novità, di trovare le giuste argomentazioni e i giusti atti che ci mettessero in sintonia con il sentimento e la consapevolezza della gente, anche la nostra.

Non avremmo dovuto entrare nella maggioranza ma affermare che eravamo determinanti o potevamo esserlo per respingere la sfida strumentale lanciata da Berlusconi e contribuire ad isolarlo.

Avremmo invece dovuto mettere in luce, dinanzi all’ intero paese, la possibilità e la necessità di costruire un'altra ipotesi di governabilità ma ci ha paralizzato l'idea di apparire sostenitori di Letta.

La verità è che dietro questo scenario c'è un fallimento politico, certamente quello del PD, un partito nato e rimasto senza progetto e divorato dalle logiche di corrente, ma anche e soprattutto il nostro fallimento che ci ha restiamo inchiodato al 3% come l'Arcobaleno.

La domanda centrale alla quale dobbiamo rispondere al prossimo congresso è questa: “c'è la possibilità di rilanciare il progetto della costruzione di una nuova grande forza della sinistra?” .

Questo è l'interrogativo ma il documento congressuale ci appare francamente una stanca narrazione dello stato di crisi in cui versa il paese, è evasivo e persino latitante rispetto alla necessità di offrire una proposta politica alla società italiana.

Un congresso non si può celebrare in assenza di una proposta politica perché, altrimenti, ripiegando su se stesso diviene sede di un regolamento di conti interno, facendo prevalere esclusivamente le logiche di potere.

Non è casuale il fatto che a Roma e nella sua provincia, nel breve giro di quindici giorni, si siano raddoppiati gli iscritti rispetto all'anno precedente, i quali si attestano, attualmente, attorno al 27% dell’intera quota nazionale.

E pensare che questo congresso volevamo celebrarlo in contemporanea con quello del PD per esaltare lo spessore politico del cosiddetto "campo largo".

Per rispondere positivamente alla domanda che ci siamo posti dobbiamo cercare la via per superare i due errori, apparentemente di segno opposto, che hanno caratterizzato la nostra esperienza in questi ultimi sei anni, durante i quali abbiamo ondeggiato tra una posizione alternativista rispetto al PD e al centro sinistra, con la lista Arcobaleno (aiutando oggettivamente Veltroni ad imporre la scelta dell'autosufficienza del PD), e quella opposta che, in risposta alla sconfitta subita dall'Arcobaleno, ci ha visti caratterizzare la nostra funzione politica limitandola ad una sterile posizione di scia del PD, una scelta tanto inefficace quanto opportunista.

Oggi con estrema disinvoltura e spregiudicatezza, ci stiamo predisponendo a cavalcare tutte e due le impostazioni saldando assieme opportunismo e antagonismo, portandoci ad assumere una visione minoritaria schiacciata esclusivamente sul terreno degli schieramenti e del potere. Determinando una funzione politica simile a quella che fu di Rifondazione Comunista di Bertinotti che si assunse la responsabilità, con il concorso attivo di una parte dei Democratici di Sinistra, della caduta del governo Prodi.

Tutto ciò avviene sul terreno del politicismo perché siamo del tutto insufficienti a suscitare movimenti o ad aderire ad essi da protagonisti, ma soprattutto siamo incapaci di dare risposta alla loro esigenza di rappresentanza politica: soffrono di questo i movimenti di lotta degli operai della FIOM, dei NO TAV, o quelli nati sul terreno dei beni comuni e della difesa della Costituzione, ecc..

E' questione strategica fondamentale quella del dare rappresentanza politica ai movimenti perché è l'unica strada che può superare l'ideologia dei governi di emergenza e di larghe intese.

Non c'è solo l'Italia a vivere una condizione di ingovernabilità, c'è anche la Germania e altri paesi. Il patto che si sta siglando tra la Merkel e l'SPD rappresenta una novità che può pesare in modo ambivalente sul futuro dell'Europa. Può essere certamente importante, come si propone l'SPD, imporre la scelta del salario minimo a 8,50 euro l'ora per determinare condizioni di vita migliori per i lavoratori tedeschi ed assieme una crescita del mercato interno, condizione sulla quale la Germania può ritrovare l'antica ispirazione europeista che fu di Kohl e di Brandt, allentando i vincoli finanziari. Oppure può determinare l'esaltazione del ruolo predominante della Germania sull'Europa, unendo l'espansione del mercato interno tedesco all'inasprimento dei vincoli dei trattati finanziari e mettendo in ulteriore difficoltà i bilanci e la crescita economica dei paesi del sud dell'Europa.

E' condizione essenziale che le forze del socialismo europeo, a cominciare dall'SPD, e le forze del riformismo democratico convergano su un terreno più avanzato: far saltare il vincolo del 3% sul disavanzo del debito pubblico per liberare le necessarie e immense risorse per lo sviluppo, il lavoro, lo stato sociale, i salari.

Sconfiggere la logica dell'inasprimento dei vincoli finanziari per dare ai paesi del sud dell'Europa la possibilità di mobilitare risorse da investire nella ripresa e nello sviluppo per il lavoro sferrando una risoluta battaglia contro l'evasione fiscale e contro gli sprechi e i parassitismi nella spesa pubblica.

Scuotere l'albero del socialismo europeo sul terreno delle grandi opzioni programmatiche e di riforma delle società capitalistiche, per dare le riposte che i popoli attendono. Non c'è futuro per il nostro paese e per la sinistra italiana senza un rinnovato socialismo europeo e una nuova Europa.

Questa è la sfida che dobbiamo continuare a lanciare al PD: un confronto serrato, un vero corpo a corpo capace di scuotere il popolo della sinistra, che è sempre più smarrito ed in parte significativa è ripiegato sull'astensionismo e sul voto di protesta che ha premiato Grillo, ma che nella sua robusta maggioranza continua a votare PD e solo marginalmente SEL.

Tra il PD e una sinistra simile all'Arcobaleno c'è uno spazio che può essere molto vasto che deve essere riempito da una sinistra che uscendo dal binomio opportunismo-antagonismo sia capace di essere matura e di governo, sia determinata nell'obiettivo di costruire un'alleanza ampia, politica e sociale di centro sinistra ovvero niente di più e niente di meno della missione per la quale siamo nati.

Il tema del congresso dovrebbe essere questo, proponendo tre obiettivi sui quali investire la nostra forza, quella del PD e di tutto il centro sinistra:

1.    Far tornare il paese alla normale dialettica democratica superando rapidamente le larghe intese, ovvero la fase della sostanziale sospensione della democrazia istituzionale, per dare una soluzione positiva tanto alla legge di stabilità quanto alla nuova legge elettorale.

2.    I congressi di PD e SEL prendano l'impegno comune di convocare, prima della scelta del candidato premier, le primarie delle idee, al fine di restituire l’opportunità e la sovranità, agli oltre tre milioni di elettori che hanno partecipato alle primarie del centro sinistra, di votare sulle priorità programmatiche.

3.    Convocare gli stati generali del centro sinistra per avanzare al paese una proposta di progetto, di governo e di società.

Usciamo dalla logica della nicchia per navigare dentro quel grande mare che è il popolo di sinistra, il quale attende, e non solo da noi, di essere rappresentato.

Angelo Fredda, Gemma Azuni, Simonetta Salacone, Daniele Leppe, Dino Fasciglione, Marco Fredda, Francesco Marchizza, Anna Vincenzoni, Lucia Masotti, Celeste Buratti, Antonio Lavorato, Pasquale Ruzza, Adele Galli, Mauro Cioffari, Gabriella Casalini, Antonio Casalini, Livia Salvatori, Giovanna Seddaiu, Michela Ottavi, Mauro Tagliacozzo, Cesare Lucidi, Salvatore Costa, Luigi Saba, Alessandro Pica, Andrea Cortoni, Mariangela Costa, Luigi Angelucci, Giuseppe Reitano, Sebastiana Pala, Giuliana Celani, Giovanni Gambale

Dal Blog Popolo della sinistra

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