martedì 6 maggio 2014

Radici sociali dell'Europa di Mauro Stampacchia



Finalmente l'Europa è diventata veramente il centro della questione democratica e sociale. Nel profondo della grande crisi, affrontata dalle élites europee della finanza e della tecnocrazia con lo strumento inefficace e barbaro della austerità, cioè della lotta di classe dall'alto contro le classi sociali meno abbienti, di lavoro e popolari, esiste adesso, con le future elezioni del Parlamento Europeo, la possibilità di invertire la rotta.
Diversamente da come ci viene fatto percepire oggi, con una visione appiattita sul presente, l'Europa, questo nostro continente, ha profonde, inestirpabili, radici sociali. L'Europa, intesa come suoi cittadini, come idee sue proprie e caratterizzanti, non potrebbe essere quella che è se non fosse stata costruita, sulla base dei valori della democrazia e della libertà, attraverso la costruzione di diritti sociali e di rappresentanza. Sono le profonde radici sociali (e sociali perchè democratiche) dell'Europa.
Basta una occhiata ai sistemi politici e democratici dell'Europa per vedere che nella maggior parte dei paesi europei il partito o i partiti dello schieramento di centrosinistra ha una origine, per il nome, per la tradizione, per l'insediamento sociale, nel partito di origine socialista, socialdemocratica, laburista, in alcuni paesi, come l'Italia, anche comunista. Un lungo fiume carsico che ha influenzato in profondità la storia europea, e ne ha plasmato il paesaggio sociale e politico, un po' come le grandi glaciazioni che, pur ritirandosi, han lasciato traccia nella morfologia del paesaggio, e che ha una data di inizio di cui dovremmo tra poco ricordare i 150 anni: tra il 28 settembre e il 5 ottobre 1864, a Londra, nasceva la prima Associazione Internazionale dei Lavoratori.
Naturalmente questo non è stato un processo solo europeo. Ha avuto sponde, ma minor radicamento, oltre Atlantico nei nuovi Stati Uniti d'America, e in altri paesi fuori Europa ma con legame con l'Europa, si è diffuso insieme alla dominazione coloniale. Ma le idee nate sul suolo europeo sono servite anche a combattere, e vincere, quella dominazione. Sul continente europeo quel processo ha allineato, pur cambiando spesso natura e radicalità dei movimenti e dei partiti di ispirazione socialista, una serie di conquiste di lavoro che sono state anche conquiste di civiltà, e i cui presupposti ancora fanno parte del patrimonio imprescindibile dell'Europa. Vuoi con le riforme, vuoi con la rivoluzione, questo è il bilancio. Salvo la recente inversione ed abbandono di quel patrimonio e di quella tradizione, coincisa con il blairismo inglese, e con i sempre più forti arretramenti delle altre socialdemocrazie-socialismi europei.
In questo arretramento si è insediata la finanza e la tecnocrazia europea, la algida e arroccata classe dei potenti europei. Quest'ultima ha anche abilmente sfruttato il declino e l'inconseguenza del processo di unificazione europea. Nel pieno della guerra un piccolo gruppo di intellettuali di spirito profetico (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi) avevano lanciato, a Ventotene, un Manifesto nel quale, proprio dalla critica delle limitatezza degli stati nazionali e della loro irrefrenabile spinta alla guerra, si lanciava l'idea dell'Europa federalista, degli Stati Uniti d'Europa. Nel dopoguerra questa idea veniva "adattata" alle circostanze, e l'unificazione europea diventava gradualista, possibilista, spostata solo nella sfera dell'economia e non in quella della politica, lasciando spazio alla tecnocrazia. Oggi la grande idea della unificazione europea ricorda un aereo, partito per una destinazione precisa, ma dirottato da tutt'altra parte.
Così un'idea grande e nobile, di democrazia e di democrazia sociale, rischia di essere identificata con l'attuale Europa, insensibile, lontana dagli europei, strumento di dominazione e di restaurazione sociale. Ma non in queste elezioni europee. Primo perchè sempre più forte è la consapevolezza che esse non sono elezioni marginali, di grado minore. Secondo perchè sarà presente la lista Per un'Altra Europa, che riprendendo questi grandi temi europei, lancia la sua battaglia contro gli attuali pessimi padroni dell'Europa. "People of Europe, rise up!" Popoli d'Europa, in piedi!, questo striscione campeggiò a lungo sull'Acropoli di Atene. La Grecia è stata scelta dalla troika europea per il suo discutibile esperimento sociale di miseria di massa e neoliberismo. Oggi sono tanti paesi che si stanno avvicinando alle condizioni imposte alla Grecia, e l'Italia tra questi. Tsipras, il leader greco di Syriza, partito che ha guadagnato consensi come partito di sinistra, europeista di un altro e vero europeismo, guida adesso questa lista, come candidato alla Presidenza della Commissione Europea. In Italia, le 220 mila firme raccolte per la presentazione di Un'altra Europa sono un segnale inequivocabile, per una lista che non ha il sostegno delle oligarchie di partito e dei massmedia, e da questi viene ignorata.
Inevitabile che con questa Europa si sia allargata l'area del cd "euroscetticismo". Facile è l'opera di denuncia, spesso in toni demagogici, populisti, quando non apertamente nazionalistici o razzistici. Ma tanto grande è l'apparenza protestataria, tanto debole è la capacità di indicare alternative che non siano il rinchiudersi negli antichi steccati delle nazioni, delle etnie, delle divisioni. O anche semplicemente il nulla, come succede alla lista di Beppe Grillo che vorrebbe "rivoltare l'Europa come un calzino", ma ammette di non saper poi molto di Europa, e che in realtà non ha alleati su scala europea. Così sceglie di utilizzare, come altri in passato, il voto europeo come un segnale da mandare per la sola realtà italiana ("se siamo i primi alle europee andiamo al Quirinale e chiediamo il governo", cosa impossibile perchè il governo ha bisogno della fiducia del Parlamento nel quale la maggioranza "grillina" come noto non c'è).
Certo però che col voto europeo si segnano anche (ma certamente non solo) questioni interne ai singoli stati. Se domani saremo nei comuni a confrontarci coi tagli di spesa sul sociale è perchè la tecnocrazia e la attuale dirigenza europea, da combattere strenuamente, hanno deciso la linea del fiscal compact e del pareggio di bilancio e perchè la nostra classe di governo l'ha supinamente accettata. Renzi, a commento del suo provvedimento degli ottanta euro (o sedicenti tali) in busta paga, ha voluto aggiungere, da battutista: "e se non è questo di sinistra, che dovevo fare, un esproprio proletario?". Il punto è che c'è in corso, e non da adesso, un esproprio dei proletari ed è la politica di austerità del neoliberismo europeo, che da trent'anni toglie ai lavoratori e al ceto medio quote significative di reddito e che rovescia tutto il peso della crisi solo ed esclusivamente su questi ultimi ed anzi arricchisce i già ricchi, acuendo le diseguaglianze sociali. E Renzi non ha detto parole chiare sul rovesciamento di questa prospettiva, sull'uscita decisa dall'austerità, dal patto scellerato del fiscal compact, dal neo liberismo. E come potrebbe, visto che in quella logica e dentro quello schema mentale lui si muove?
La lista Un'Altra Europa per Tsipras ha il pregio dunque di essere qualcosa di nuovo e di antico insieme. Di antico perchè ha radici profonde in Europa, di nuovo perchè è l'unica risposta elettorale possibile in alternativa vera al miserabile stato di cose presenti. La lista indica in Tsipras il suo candidato presidente ma non si ferma lì. Se si ha chiara la profondità degli sconvolgimenti indotti dalla crisi, e l'impatto sulle classi sociali di lavoro, allora si capisce che la questione mette in campo anche le tradizionali forze del socialismo europeo, prima della crisi approdate ad una rappresentanza supplente non più solo del lavoro ma anche delle classi dominanti, se non anche alla contaminazione con il neoliberismo medesimo. Un successo di Tsipras dovrebbe chiamare anche questo schieramento, decisivo in Europa, ad un benefico riposizionamento insieme alle classi più colpite dalla crisi, e a sciogliere un nodo politico centrale nella questione europea, salvo lasciare la rappresentanza (distorta) di questi ceti alla destra demagogica e populista. Ma sarebbe un (brutto) film già visto e con un finale tragico.