mercoledì 6 novembre 2013

Intervista a Stefano Ciccone

Stanno svolgendosi in questi giorni le assemblee precongressuali dei circoli di Sinistra ecologia Libertà. Il congresso nazionale si volgerà a gennaio sulla base di un documento proposto da Nichi Vendola. La discussione si svolge nel pieno di una situazione politica in continua evoluzione. Abbiamo chiesto a Stefano Ciccone di Roma, che ha promosso un contributo alla discussione che ha raccolto molte adesioni in giro per l’Italia da cui sono stati tratti degli emendamenti, di spiegarci le ragioni della loro iniziativa:
La nostra proposta nasce proprio dalla necessità di affrontare le novità della situazione politica. Abbiamo bisogno di una discussione vera e trasparente per affrontare la nuova fase senza equivoci o ipocrisie.
SEL nacque tre anni fa con la prospettiva di “riaprire la partita”, di giungere a breve a delle primarie in cui ingaggiare un tentativo di prefigurare un centrosinistra differente innovativo nei contenuti, nelle politiche e nella relazione con la società.
SEL ha scommesso sulla costruzione della coalizione “Italia bene comune” e oggi è all’opposizione del governo Letta.  Chi, come noi, ha investito su quella coalizione, deve interrogarsi sulla sua natura e sulle ragioni della sua rottura e su quanto il modo in cui è stata costruita ne abbia pregiudicato la capacità di tenuta e la credibilità.
Alle primarie e al voto si è giunti con un’alleanza meramente elettorale ma è mancata una coalizione capace di interpretare il desiderio di cambiamento, riaprire i canali tra società e politica.
Alle ambiguità nel PD si è sommata l’inadeguatezza di SEL a sviluppare un’iniziativa per un profilo innovativo della coalizione e una sua più larga rappresentatività, che ha reso la nostra presenza nella coalizione meno autorevole e convincente.
Le primarie, che avrebbero dovuto allargare la partecipazione aprendo a proposte e culture politiche nuove, si sono in buona parte ridotte (a livello nazionale e locale) a una conta tra correnti o alla ricerca del personaggio vincente.
La sconfitta sul voto presidenziale è figlia di questi limiti, che hanno fatto cadere la proposta di un governo di cambiamento, lasciando spazio alle manovre interne al PD. La crisi della coalizione non è frutto di un accidente ma è l’esito di un conflitto politico all’interno del PD che ha visto anche SEL come bersaglio (come con i 45 falsi voti per Rodotà per attribuire a SEL la mancata elezione di Prodi). Questa rottura è figlia di una lettura della crisi e dei vincoli internazionali: porta con sé un’egemonia moderata sul centrosinistra, il ritorno di una vocazione maggioritaria e autosufficiente del PD, una risposta involutiva alla crisi dei partiti.
Riconoscere il fallimento della coalizione Italia Bene Comune vuol dire  quindi “cambiare prospettiva”? Sel dovrebbe rinunciare a costruire una coalizione larga e guardare alle forze che oggi sono fuori dal parlamento?
Tutt’altro.La missione costitutiva di SEL è uscire dall’asfittica alternativa tra la rinuncia alle proprie ragioni per accedere al governo o la marginalità per rimanere fedeli a se stessi. È fuorviante contrapporre il rilancio di una autonomia politica e culturale di sinistra alla costruzione di una  coalizione di governo: si tratta di due obiettivi oggi inscindibili. La costruzione di un’alleanza capace d’innovazione non è, oggi, un dato scontato ma un obiettivo da conquistare.
SEL deve lavorare alla costruzione di un processo di aggregazione e confronto che porti alla costruzione di una nuova forza della sinistra, plurale, unitaria e innovativa. Non la sommatoria di frammenti di ceto politico teso all’autoconservazione, ma una nuova esperienza capace di aggregare risorse per produrre un’elaborazione inedita.
La scelta non è dunque “rinchiudersi nel partitino” né tantomeno sciogliersi nell’indistinto “campo dei democratici”, ma costruire una sinistra più larga di noi, capace di coniugare governo e trasformazione ponendola in relazione con le domande della società.
La vostra iniziativa è riconducibile ad una delle aree politiche che hanno promosso SEL, o  intendete con questa iniziativa promuoverne una nuova?
Niente di tutto questo, noi promotori di quel documento abbiamo storie e percorsi diversi, in gran parte estranei alle componenti organizzate che hanno promosso sel. Vogliamo ringraziare i compagni e le compagne che nelle varie città, e nell’assemblea nazionale hanno deciso di darci il loro sostegno, persone note per la loro autonomia e autorevolezza, persone con storie e percorsi differenti, persone che spesso non conoscevamo ma che hanno deciso di spendersi su un obbiettivo di trasparenza e di partecipazione.
Abbiamo raggiunto questo risultato anche perché ci siamo impegnati a non confondere questa iniziativa con le pur legittime aree e aggregazioni presenti in SEL.
Lo abbiamo raggiunto perché ci siamo impegnati a non farne strumento surrettizio per produrre una nuova area o aggregazione. Abbiamo offerto e abbiamo cercato in chi firmava la massima libertà, l’attenersi al merito delle questioni.
Il documento “apriti sel” e questi due emendamenti sono da noi stati intesi come l’apertura di uno spazio e la messa a disposizione di uno strumento: uno spazio libero aperto e plurale di discussione e degli strumenti per sollecitare un confronto più limpido e utile in SEL.
Non permetteremo a nessuno di ascrivere questa iniziativa a una componente o area vecchia o nuova , né per appropriarsene, né per denigrarla.
Oggi si apre la fase congressuale vera e propria: gli emendamenti non rappresentano tra noi né un vincolo né un’appartenenza. Ognuno sceglierà liberamente come stare nella discussione e probabilmente avremo opinioni diverse su molte questioni.Questo non vuol dire, per noi, interrompere qui questa iniziativa ma rinnovarla con chi vorrà contribuirvi liberamente.
Ma torniamo alla situazione politica.
Sì, perché non basta discutere nel congresso: è necessario aprirci sin da ora per contribuire a costruire una sinistra più grande di noi, capace di pensare il cambiamento e di cimentarsi con la sfida del governo.
La qualità del nostro congresso non dipende solo dalla nostra discussione ma da quanto sapremo costruire nei movimenti, nelle lotte sindacali, nelle esperienze associative che producono nuova politica, nuovi saperi, nuova socialità. la manifestazione del 12ottobre si è aperto un nuovo un percorso che mette al centro la difesa della Costituzione di cui SEL deve essere protagonista e non mero interlocutore, contribuendo a orientarlo e a rafforzarlo.
Con il voto sulla Presidenza della Repubblica e l’opposizione al governo PD-PDL frutto dell’egemonia “rigorista” di Napolitano, SEL ha fatto la cosa giusta, recuperando così ascolto e attenzione, offrendo un riferimento al disagio in atto dentro e fuori la coalizione di centrosinistra.Ma l’opposizione al governo Letta non può limitarsi ai singoli atti ma deve contrastare l’ipotesi strategica su cui è nato e che oggi si coniuga con le spinte alla modifica della Costituzione.
Ma SEL si è scoperta impreparata a questa nuova fase: non ha mostrato una capacità di iniziativa nel Paese in grado di affiancare l’azione parlamentare e di delineare una prospettiva leggibile. L’opposizione parlamentare rischia così di ridursi a un innocuo gioco delle parti: è invece necessario costruire fatti reali, essere presenti nei conflitti che si producono nel Paese.
Dobbiamo metterci in relazione con la domanda sociale che chiede di rompere con la religione dei vincoli di bilancio che ha pesato a sinistra e  aprire un dialogo con l’istanza di cambiamento e con la critica alla degenerazione dei partiti che hanno alimentato il Movimento 5 Stelle. Va ricostruito un rapporto con  quella sinistra che non ha creduto nella nostra proposta e che oggi cerca una risposta  più convincente
Ma affrontare questa fase politica vuol dire anche misurarsi con la discussione nel PD e con le primarie dell’8 dicembre:
Il nostro ruolo non può ridursi a scegliere un rapporto preferenziale con il candidato supposto vincitore solo in nome di una generica idea di novità. Non basta battere Berlusconi ma è necessario superare il berlusconismo come cultura che ha pervaso anche la sinistra.
A partire dall’opposizione dobbiamo prefigurare una coalizione capace di uscire dal recinto dei partiti. In questa prospettiva il rapporto con i candidati alla leadership del PD deve vedere una nostra autonomia e capacità di proposta. È indubbio che SEL dovrà interloquire con chi sarà il leader PD e sollecitare una presa di posizione critica sul governo delle larghe intese, ma tutto questo deve avvenire con una chiarezza sulle ispirazioni programmatiche, sulle culture politiche e sui modelli di coalizione.
La vostra iniziativa nasce da lontano: più di un anno fa promuoveste una iniziativa nazionale dal significativo titolo di “non affoghiamo SEL nella vecchia politica”. Veniamo al tema delle forme della partecipazione.
Per svolgere un ruolo utile dobbiamo cambiare pelle, liberare la nostra discussione, aprire i nostri spazi di partecipazione, liberarci dei notabilati, vincere una cultura che “militarizza” il confronto politico e rimuove il disagio.
Non è più possibile tenere distinte le forme di partecipazione dalla qualità e credibilità della proposta politica. Dalla capacità di SEL di affrontare questo nodo dipende la sua credibilità, la possibilità di svolgere un ruolo autonomo e al tempo stesso unitario, di raccogliere domande e intelligenze, di interloquire con ciò che si muove nella società, di sviluppare la sua capacità di elaborazione. Non basta stigmatizzare l’antipolitica, per esorcizzarla, bisogna cambiare la politica, a cominciare da noi.
Una nuova relazione con la società non si costruisce come rapporto tra stati maggiori dei partiti e dei movimenti, non può basarsi sulla cooptazione o sulla confusione di ruoli.
Il nostro sforzo di tenere aperto un difficile dialogo tra centrosinistra, movimenti e realtà associative è credibile e autorevole solo se la scelta della coalizione è forte di un progetto, di una pratica reale e non frutto di inerzia o strategie di autoconservazione.
La distinzione caricaturale tra chi vorrebbe un soggetto politico aperto e chi un partito “strutturato” mostra tutta la sua infondatezza.
A Firenze abbiamo detto di non volere un ulteriore partito ma riaprire la partita. Ma questo obiettivo, che avrebbe richiesto cura, progettualità, investimento, questo sforzo di ricerca, di innovazione e di cultura politica è stato messo da parte dopo il congresso. Così siamo stati percepiti come omologati alla politica di palazzo e ai suoi vizi, nonostante le evocazioni retoriche. interrogandosi sul proliferare di iniziative che traggono ragion d’essere da questo vuoto e dall’assenza di una proposta che anche SEL avrebbe dovuto costruire. E l’incapacità di innovare ha impedito alla sinistra, variamente collocata, di intercettare la domanda confusa di cambiamento che ha dato vita al più grande terremoto politico della storia italiana.
 Ma la partita non si gioca, e tanto meno si riapre, a tavolino nel ristretto recinto del ceto politico.
 Mancando questo investimento le derive spontanee, non contrastate, hanno alimentato un modo vecchio di essere partito - l’ossessione per l’equilibrio tra componenti senza una discussione di merito, lo schiacciamento sulla rappresentanza istituzionale e lo svuotamento dei percorsi partecipativi - compromettendo gravemente la nostra capacità di discutere, accogliere le diversità e svolgere un ruolo attivo nella società. Non abbiamo quindi alcuna nostalgia della burocrazia, della gerarchia e dell’autoconservazione dei vecchi partiti, anzi, va rilanciata la sperimentazione mai attuata dopo Firenze, la capacità di misurarsi con nuovi linguaggi, nuovi luoghi del conflitto, nuove domande di libertà e trasformazione. È necessario valorizzare il radicamento nei territori ma anche l’impegno tematico, superando modelli organizzativi gerarchici. Oggi quella sfida torna di attualità per la funzione che SEL deve svolgere.
È una riflessione che va ben oltre SEL e che deve produrre un’alternativa al conflitto sterile tra politicismo e antipolitica. L’assenza di dibattito nei partiti, la loro trasformazione in apparati di potere e la degenerazione del disagio nelle sue forme rancorose e semplificate sono due facce della stessa medaglia e si alimentano reciprocamente. Questo deficit di cultura politica genera la degenerazione del conflitto in ostilità e inimicizia reciproca, nell’invettiva dei militanti sul web verso parlamentari e dirigenti, nella liquidazione denigratoria dei gruppi dirigenti altrui.Non è con il giudizio paternalista o moralista sulle forme in cui il disagio si esprime che si contrastano l’antipolitica e il rancore sociale, ma con la capacità di costruire una politica “altra”.
Va colto il carattere cruciale di questo nodo politico: la crisi dei partiti e della democrazia sono il terreno su cui avanzano risposte sul piano politico e istituzionale che prefigurano una involuzione, populista o tecnocratica, della qualità della nostra democrazia.
Al tempo stesso nessun nuovo processo a sinistra può avviarsi senza un cambiamento profondo delle culture politiche dei linguaggi e delle forme della partecipazione.
Non si tratta di generiche petizioni di principio ma di questioni che emergono oggi prepotentemente mostrando la crisi di un’idea della politica che si ammanta di nuovo ma resta vecchissima.
È una questione generale ma la discussione dentro SEL mostra molti problemi
Sì. Ci mostriamo ancora troppo spesso incapaci di misurarsi con una pluralità di punti di vista. La resistenza al cambiamento, l’incapacità di ascolto sono frutto dell’attaccamento al potere, di una spinta all’autoconservazione  del ceto politico locale e nazionale che avvelena la politica. Predisponiamo delle regole limpide, per decidere con procedure trasparenti le candidature di SEL a livello nazionale e locale, l’incompatibilità tra incarichi amministrativi e candidature politiche, limiti di spesa certi per le campagne elettorali dei candidati e obbligo di pubblicizzazione dei bilanci negli organismi locali, modelli organizzativi e costruzione degli organismi locali che garantiscano l’autonomia di SEL dalla dimensione istituzionale.
Ma perché la riflessione sulle nostre difficoltà diventi proficua deve assumere la crisi di una politica ridotta a gestione del potere, superare modelli gerarchici e identitari nel vivere i conflitti, nel pensare la democrazia, la rappresentanza, la partecipazione.La politica delle donne ci ha mostrato un’idea non distruttiva ma creativa del conflitto, in cui l’esito non è far fuori dialetticamente o fisicamente l’altro, e la cui assunzione non chiede quindi di annacquare i conflitti e rendere opache le differenti opzioni.
È necessario produrre una critica dello statuto della politica stessa, del suo fondarsi sulla separatezza tra pubblico e privato, sulla gestione del conflitto in base alla logica amico-nemico, su modelli di appartenenza basati su gerarchia, delega, rimozione delle differenze, su una concezione separata e sacrificale della militanza, su un’idea del potere maschile che ormai non corrisponde più nemmeno alla vita degli uomini e al loro desiderio di libertà.
Vogliamo ripensare la politica come pratica di libertà e autonomia, come relazione, come trasformazione e ricerca, non come mero esercizio di potere.
Sono questioni enormi, credete ci sia spazio per discuterne in questo congresso?
La discussione in SEL, contrariamente a quanto poteva apparire solo poche settimane fa è aperta, noi crediamo di poter contribuire perché si sviluppi in modo trasparente e senza rimuovere una riflessione autocritica sulla qualità delle forme di partecipazione e di relazione con la società che abbiamo costruito.
Da domani ci ragioneremo insieme. Oggi vogliamo festeggiare questo risultato per niente scontato. Anzi apparentemente irraggiungibile pochi giorni fa.

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