sabato 21 dicembre 2013

Manipolare la politica. (2nda parte) di Mauro Stampacchia

Questa è la seconda ed ultima parte dell'intervento dal titolo: "Manipolare la politica" di cui una prima parte è già stata pubblicata diversi giorni fa sul blog

Proporzionalismo e governabilità

Bipolarismo o morte”?
Il bipolarismo, malgrado abbia, come si è visto, dimostrato un rendimento, nella migliore delle ipotesi, del tutto al di sotto delle aspettative, viene oggi rilanciato come discriminante politica, quasi dogma inattaccabile, con argomentazioni facili, quanto fallaci. Il vincitore delle primarie del Pd e attuale segretario Matteo Renzi lo ha infilato nel suo programma più urgente, lo stesso Romano Prodi, personalità di diversa caratura, ha detto di aver cambiato idea sulla partecipazione alle primarie per il rischio che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, il bipolarismo correva (e davvero che un esponente del progressismo storico stia a paventare rischi provenienti dalla Corte Costituzionale suscita considerazioni amare sul progressismo italiano e sul suo costituzionalismo). Infine, anche la più alta carica dello Stato ha una volta di più derogato alla sua funzione super partes per schierarsi a favore del maggioritario e del bipolarismo.
Il realtà, se si guarda al recente passato, Il bipolarismo ha consegnato alla politica italiana un tasso di governabilità molto carente, una rappresentanza distorta, e una reale incapacità di servire come strumento di alternativa politica. Anzi ha reso più divisiva la politica italiana, consentendo il dominio politico di una parte (minoritaria) su tutto il resto. Bisogna infatti distinguere la capacità di individuare un vincitore designato (questo il bipolarismo lo fa) dalla governabilità, che è un concetto assai più complesso che implica che il governo designato sia poi capace di governare una società che invece il bipolarismo rende così divisa da non essere governabile con un tasso di consenso accettabile e condiviso, solo presupposto di una vera governabilità.
Sistema bipolare, tripolare o multipolare?
Dopo le ultime elezioni, con l'esplosione elettorale del M5stelle, e in precedenza con la nascita di una forza come Scelta Civica, di minor successo nelle urne, il sistema è diventato, inevitabilmente, almeno tripolare, come osserva tra gli altri un politologo come Piero Ignazi. E in letteratura è noto che una legge elettorale maggioritaria funziona accettabilmente in presenza di due poli e conserva il bipolarismo, ma quando si trova di fronte a tre poli, non riesce più a funzionare con la stessa efficacia e genera effetti gravemente distorsivi, tra l'altro di vario tipo. Un esempio viene dalla patria stessa del sistema maggioritario, l'Inghilterra, dove il partito terzo, i liberaldemocratici, sono sottorappresentati, e dove è comunque necessaria una trattativa post elettorale per arrivare ad una alleanza di governo che il voto di per sé non determina. Oggi conservatori e liberaldemocratici hanno stipulato una “intesa” e i laburisti sono all’opposizione.
In presenza di tre poli, con un maggioritario si possono verificare altre due ipotesi. La prima, più estrema, secondo la quale uno dei tre poli non trova rappresentanza alcuna. E' un caso piuttosto difficile, ma genera comunque, se si verifica, una caduta del tasso di rappresentanza perchè nessuno sbocco istituzionale viene dato a chi raccoglie tra il 20 e il 30 per cento del voto (8 milioni e passa nelle ultime elezioni da parte del M5S). E' una ipotesi estrema ma non impossibile, e non può essere considerata in alcun modo una conseguenza positiva, in democrazia essendo l’inclusività un valore irrinunciabile e che la esclusione di forze presenti consistentemente nella opinione pubblica deve essere considerata un danno da evitare in tutti i modi.
La seconda ipotesi è ancora più negativa anche se più probabile. In uno dei collegi maggioritari (il 75% del Mattarellum) il Centrodestra potrebbe battere il Centrosinistra perché il M5S sottrae voti a quest'ultimo, in un altro invece anche per pochi voti il Movimento Cinque stelle prevale sugli altri due. In un terzo ancora la soluzione va in un altro senso ancora. In una parola, un esito a macchia di leopardo e molto legato al caso, che a livello nazionale disegna equilibri incerti e legati al caso, un “effetto lotteria" amplificato dal sistema maggioritario. Con il 30% dei voti potrebbe uscire una maggioranza schiacciante del 70% di seggi. In questa seconda ipotesi l'introduzione del ballottaggio di secondo turno (alla francese) che si vorrebbe proprio per eliminare questo effetto in realtà lo aggrava. Si potrebbero verificare ballottaggi tra Centrodestra e Terzo polo, anche per un distacco di pochissimi voti, o tra Terzo polo e Centrosinistra, e non solo tra Centrodestra e Centrosinistra. (Il doppio turno alla francese verrebbe però corretto all’italiana. Mentre in Francia accedono al ballottaggio tutte quelle forze che ottengono in ogni collegio più del 12,5% la correzione italiana ammetterebbe solo i primi due).
C’è poi un terzo sistema che appare caro a Matteo Renzi, ed è la trasposizione a livello nazionale del sistema di elezione del sindaco. Ma questo, è noto, è palesemente incostituzionale perché sottrae al Presidente della Repubblica la sua funzione di selezione del presidente del consiglio incaricato. Ed ha, oltre a questo, una serie di problemini non secondari, perché avrebbe bisogno di un collegio nazionale. Comunque sarebbe un sistema a doppio turno, nel quale il ballottaggio riguarda però adesso il sindaco, domani il presidente del consiglio, quindi la trasformazione della nostra Repubblica da parlamentare in presidenziale.
Quando le squadre si scelgono le regole.
Nel giudizio che si da sui sistemi elettorali pesano criteri che si rifanno ai benefici che essi apportano, o si ritiene che apportino, avendo riguardo all'interesse comune, cioè al buon funzionamento del sistema politico. I sistemi elettorali però non sono scelti da un organo esterno alla competizione, ma dagli stessi attori della competizione. Per dirla con una metafora calcistica: le squadre di calcio che scendono in campo si trovano di fronte delle regole già definite che non possono essere da loro modificate, in special modo in corso di partita. Le squadre politiche invece scendono in campo e hanno la possibilità di approvare le regole di gioco, ed è inevitabile che su questa approvazione pesi anche, e forse sopratutto, il vantaggio che l'uno o l'altro sistema elettorale reca al proprio schieramento politico. Quindi le valutazioni delle forze politiche sui sistemi elettorali vanno lette non in astratto e riferite al l’interesse comune, ma anche come spie delle attese dei benefici a sé stesse, che le forze politiche ripongono nella adozione di questo o di quel sistema.
Dopo la sentenza della Corte che bolla il Porcellum come in conflitto per molte parti con la Costituzione, molte voci, anche da schieramenti diversi, si sono pronunciate a favore del Mattarellum. In qualche caso queste posizioni sono parte di una schermaglia rivolta a posizionarsi in qualche modo nel dibattito sul nuovo sistema, ma sono in qualche caso anche rivelatrici delle caratteristiche della legge elettorale che si propugna. A favore del Mattarellum si è pronunciato, ad esempio, Berlusconi, il quale, avendo aperto con forze di centro destra un livello di competizione, si accorge che così verrà favorito contro queste, e quindi minaccia di correre da solo nei collegi uninominali, così bloccando la rappresentanza di questi suoi "cespugli". Egli sa che l'elettore di centrodestra voterà, stante i rapporti di forza, per i suoi uomini. E il suo nuovo competitor Alfano sembra invece schierarsi per il doppio turno alla francese modificato, che gli darebbe più spazio, al primo turno potendo strappare percentuali minori di Forza Italia ma decisive poi ai fini del risultato del secondo turno. E' un tipico esempio di manipolazione della rappresentanza attraverso i sistemi elettorali. E di lotta politica attraverso l'uso dei sistemi elettorali.
Il sistema dei collegi uninominali, gran parte del Mattarellum, è comunque vantaggioso per il Pd, perché nel modo già visto per il centrodestra il Pd avrebbe un controllo dei collegi rispetto ai suoi alleati di centrosinistra. In realtà il sistema più conveniente al Pd è il doppio turno alla francese modificato, perchè così può legare a sé potenziali alleati, rimanendo però, in virtù della propria rendita di posizione, dominus e favorito sullo schieramento di centrosinistra.
Pure Grillo si è detto favorevole al Mattarellum, perché consente a lui di giocare il tutto per tutto in vista del progetto (assai improbabile) di ottenere il cinquantuno per cento ma intanto con il più probabile risultato di aggiudicarsi molti collegi così da poter di nuovo costringere questi alle larghe intese, e lui prosperare.
Sinistra e Mattarellum. Si giochi a carte scoperte.
Quelle che rimane incomprensibile invece è l'appoggio al Mattarellum quando viene dalla sinistra. La sinistra italiana sulla scorta del modello costituzionale ha sempre (e giustamente) scelto il proporzionale come sistema di riferimento, principio cardine della democrazia. Con il proporzionale gli organi elettivi sono lo specchio della società, o almeno si avvicinano ad essa quanto una democrazia rappresentativa può avvicinarsi ai propri rappresentati. Un sistema maggioritario condanna la sinistra alla irrilevanza politica sbarrando ad essa la strada del parlamento, impedendole di interagire con altri settori della politica, portandola all'isolamento e al solo ruolo di testimonianza. Colpisce quindi l'allontanamento della forza che più rappresenta la sinistra che rimane, Sinistra Ecologia e Libertà, da questa linea. Quando si pose, sul finire della scorsa legislatura, la questione dei due referendum elettorali Sel decise di lasciare al proprio destino il referendum Passigli (che avrebbe determinato una modifica del Porcellum simile a quella poi determinata dalla Corte, quindi al proporzionale) e di sposare quello di Parisi che puntava all'abrogazione in toto del Porcellum, nella speranza, rivelatasi poi, come prevedibile, infondata, di tornare alla legge precedente, appunto il Mattarellum. La Corte non ammise quel referendum proprio perché ritenne che avrebbe causato un vuoto legislativo gravissimo (stare senza legge elettorale equivale a rendere impossibili le elezioni).
A quell'epoca, quando già Sel aveva gettato le basi della coalizione che poi si chiamerà Italia Bene Comune, poi miseramente naufragata malgrado la vittoria elettorale, questa scelta poteva essere spiegata come un modo per rafforzare la posizione di Sel nella coalizione. I sistemi elettorali non si scelgono, anzi non si dovrebbero scegliere, sulla base della tattica del momento, anche perché le situazioni contingenti possono essere rovesciate. Come è poi avvenuto. Adesso per Sel continuare ad appoggiare il Mattarellum, con una coalizione che non c'è e che potrebbe non esserci più per molto, come si riconosce anche nei documenti congressuali, è semplicemente autolesionistico. Con il Mattarellum, Sel da sola non avrebbe alcuna possibilità di passare nel 75% del maggioritario, e potrebbe conseguire rappresentanze solo nel 25% proporzionale, naturalmente dividendo per quattro la percentuale dei voti: con il 4% dei voti (un conto approssimativo, ponendo che non vi sia sbarramento) avrebbe l'uno per cento dei seggi alla Camera, in valore assoluto non più di sei. Al Senato ancora peggio. E allora perché si continua a sostenere il Mattarellum? L'unica risposta possibile fa pensare che una qualche componente del partito ritenendo che Sel non possa andare oltre il ruolo del partito satellite del Pd, un partito del tre per cento, punti sulla coalizione con il Pd sempre e comunque e in quel caso il Mattarelluma sarebbe assai utile. Sarebbe altra cosa dalla “buona politica" quella che facesse accettare un sistema elettorale che ci costringe alla coalizione per poi dire all'interno del partito, alzando le spalle, "ma con questa legge elettorale non si può fare altro che aderire ad una coalizione dominata dal Pd", chiunque sia il segretario e quale la linea che questo si sceglie. Non sarebbe un modo trasparente e lineare, e soprattutto sarebbe perdente per Sel.
Luoghi comuni, opinioni approssimative, dogmi irrefutabili.
Tra i luoghi comuni, ripetuti e ripetuti, e quindi per questo fatti diventare veri, quasi dogmi irrefutabili c'è quello che vuole che il proporzionale sia un sistema che riproponga inevitabilmente il marasma finale da Prima repubblica, con annesso clientelismo, governi deboli, e adesso larghe intese in eterno. Nessuna di queste affermazioni regge ad un confronto con l'esperienza del passato e con gli scenari possibili del futuro.
Con il proporzionale, ben due elezioni politiche generali, quelle più importanti perché miliari, produssero un effetto di bipolarizzazione. Nel 1948 Dc e fronte popolare Pci-Psi si contesero il voto popolare, con lo spostamento verso la prima di quote consistenti di voto. Nel 1976 nuovamente, di fronte al rischio del "sorpasso" del Pci sulla Dc, si riprodusse quella bipolarizzazione, che portò il primo ai suoi massimi storici ma la Dc a resistere prosciugando il voto dei suoi alleati. In ambedue i casi la bipolarizzazione non fu di aiuto alla sinistra, si può notare di sfuggita, ma si verificò anche con il proporzionale.
Il proporzionale oggi non riprodurrebbe necessariamente le larghe intese, fin qui prodotte insieme dalla situazione e dalla volontà dei partiti più importanti, ed anche dalla tripolarizzazione del sistema. Almeno, non più del maggioritario. Il Porcellum, che ha aiutato a produrle, è solo nominalmente un sistema proporzionale, e in molti punti funziona quasi come un maggioritario. Il punto è che il proporzionale non è solo un unico sistema ma una famiglia di leggi elettorali, con possibili varianti. Il proporzionale "puro" di cui talvolta si parla non solo non è mai esistito in Italia, ma è anche difficile da definire. Il proporzionale si può correggere in molti modi, aggiungendo un premio di maggioranza o di coalizione, incentivando la possibilità dell'elettore di influenzare il proprio partito anche nell'urna, e lo si può rendere capace di esprimere una coalizione e un governo sufficientemente stabile.
La scelta per il sistema proporzionale può e deve assumere la funzione di segnale di svolta con il passato del dopo Prima repubblica, il ventennio che, diversamente da quanto si voleva ottenere, non ha liberato l'Italia dalla corruzione, dalla politica inamovibile, e sopratutto non ha avviato un processo di cambiamento e di ricambio nei confronti di quello che è apparso quasi un regime. Se oggi si vuole perseguire il cambiamento, che è insieme lotta alle diseguaglianze sociali e un nuovo modo di fare politica, se si vuole innescare cioè una "rivoluzione democratica" sulle linee della applicazione della nostra Costituzione, allora occorre una scelta di coraggio e di inequivocabile rottura.
Un proporzionale a doppio turno di coalizione, per esempio.
Tra le molte possibili varianti, è utile sceglierne una, anche per esemplificare e entrare nel concreto. Quello che viene descritto qui di seguito è un proporzionale, corretto allo scopo di assicurare una coalizione stabile, e quindi con essa una governabilità non meccanica o coatta, o imposta. Non si usa il metodo classico del premio di maggioranza, perchè questo, dopo la pronuncia della Corte, potrebbe avere profili di incostituzionalità e anche perchè il sistema qui congegnato può essere ancora più efficace senza avere le controindicazioni del premio di maggioranza. Questo sistema si caratterizza per dare il massimo possibile di potere di intervento al singolo elettore, compresa una semplificazione che consente di vedere attraverso il sistema per come esso funziona. Un terzo pregio di questo sistema è che configura un modo di elezione del Parlamento nel quale non ci sono avvantaggiati e svantaggiati. Questo in termini concreti vuol dire che, se si lasciano i dogmi del bipolarimo dove devono essere lasciati, non esiste forza politica che possa ravvisare in questo sistema un motivo di pericolo per la sua rappresentatività. Il che però vuol anche dire che, stante il livello di bassa rappresentatività della attuali forze politiche dominanti, si sentiranno tutte minacciate dal surplus di potere di intervento che con questo sistema avrebbero gli elettori.
In maniera un po’ inconsueta, descriverò questo sistema "dal punto di vista dell'elettore" più che come insieme di regole viste dal punto di vista sistemico. Questo per maggiore semplicità espositiva, ma anche per sottolineare il ruolo di questo sistema elettorale nel "restituire lo scettro al Principe", che appunto in democrazia è il popolo sovrano e non altri.
L'elettore, il giorno delle elezioni, ha una scheda per la Camera ed una per il Senato. Mettiamo per un attimo da parte il Senato, il quale tra l'altro è in predicato di una sostanziale riforma costituzionale. Sulla scheda della Camera l'elettore vede le liste concorrenti di ciascun partito o forza politica. Egli può scegliere una lista e all'interno di questa un candidato (o due, purché con differenza di genere).
Ma, in una parte apposita della scheda, potrà scegliere anche una delle coalizioni proposte attraverso il voto ad un "listino" nazionale, scelto dalla coalizione, di 30 nomi, senza preferenze. Con gli attuali numeri del Parlamento. e salvo loro diminuzione, 600 parlamentari sono eletti tramite le liste, 30 attraverso il listino di coalizione.
E' importante notare che il voto può anche essere disgiunto tra le liste di partito e i listini di coalizione. Questi ultimi potrebbero essere in numero minore, perché la “coalizionabilità” viene premiata e alcuni partiti sono in una sola coalizione. L’elettore può esercitare col voto tre poteri di scelta diversi. Primo, la scelta della lista che lo rappresenta; secondo, la scelta dei candidati che lo rappresentano (quindi può orientare la lista scegliendo candidati più a destra o più a sinistra); terzo, la scelta della coalizione che ritiene debba governare. A sua volta ogni partito che presenta una lista deve presentare un programma, una serie di candidati, e sopratutto una proposta di coalizione e di governo. In altri termini ogni forza deve esprimere il massimo di capacità rappresentativa (programma e candidati) e il massimo di capacità di coalizione (ma anche di rifiuto di ogni coalizione).
Alla fine della prima giornata di votazioni abbiamo sicuramente una Camera eletta e completamente delineata nella sua parte rappresentativa, a meno che uno dei listini di coalizione non raggiunga più del 50% dei voti, e in tal caso sono eletti i 30 e non occorre il secondo turno, perché c'è una forte maggioranza nella Camera. (Una variante possibile potrebbe essere l'elezione di quel listino che ha preso più voti e ha superato una soglia di quasi-maggioranza, il 45% dei voti, ad esempio).
Ma se, ipotesi più probabile, quella condizione non si verifica, due settimane dopo ha luogo il secondo turno di votazione tra i soli listini di coalizione. Il listino di coalizione che prende il maggior numero dei voti anche senza superare il 50% prende tutti i 30 seggi e questo determinerà una maggioranza sicura. In queste due settimane le forze politiche possono tra di loro avviare trattative per allargare le coalizioni, e i risultati di queste trattative devono essere resi pubblici agli elettori, perché si orientino. In questo intervallo tra le due giornate elettorali si esercita ancora la capacità coalizionale di ciascuna forza politica. Le forze politiche maggiori non disponendo automaticamente la vittoria da sole sono incentivate a entrare in coalizione e si ha quindi una pulsione centripeta e non centrifuga, che deve però essere esercitata, per essere credibile, in trasparenza di fronte agli elettori, che su quelle scelte possono esprimersi. Tra il primo e il secondo turno è comunque possibile ritirare uno o più listini di coalizione, come segno e conseguenza di un accordo programmatico che deve essere reso pubblico ed ufficiale prima di ogni ritiro.
Le settimane tra i due turni servono cioè a mettere insieme il codice sorgente della nuova legislatura, che viene scritto open source, cioè sotto gli occhi degli elettori e a loro viene in ultima analisi sottoposto, e su questo possono intervenire. La procedura nel suo insieme, data una certa situazione politica, produce il Parlamento più coeso possibile. (Una provvida norma dovrebbe inoltre escludere ogni nominativo dai simboli elettorali, come misura di pulizia rispetto ai personalismi).
Al Senato il listino sarà di 20 candidati, uno da ogni regione e candidato nella lista di quella regione, anche se, in caso di doppia elezione, dovrebbe rinunciare ad una delle due. Questo accorgimento per evitare possibili profili di incostituzionalità rispetto alla "base regionale" che la Costituzione prevede per il Senato.
Un proporzionale con premio di coalizione rende sostanzialmente inutile la presenza di una soglia minima (sbarramento) per accedere alla rappresentanza, oppure può prevedere una soglia bassa (1,5%). La dispersione che genera ingovernabilità è già scongiurata a monte. Per evitare la frammentazione delle liste si può invece stabilire criteri molto più rigorosi per la presentazione di liste, con l'aumento sostanziale delle firme necessarie alla presentazione.
La legge elettorale dovrà contenere al suo interno norme che controllino le risorse elettorali a disposizione di ogni candidato, e che, in un quadro di assenza di finanziamento pubblico, mettano un tetto alle spese elettorali di ciascun candidato. Si dovrà sanzionare il voto di scambio anche con la decadenza dalle cariche, e si dovrà normare anche il numero di rinnovi dei mandati rappresentativi, ponendo un limite di due ai mandati consecutivi. Questo assicurerebbe ricambio, sottolineerebbe lo spirito di servizio e non di carriera del mandato rappresentativo. Si dovrebbe introdurre il criterio secondo il quale ogni candidato può presentarsi candidato in un solo collegio e mai sia alla Camera che al Senato, per evitare l’eccessivo peso della singole personalità.
Infine si dovrebbe istituire un controllo di costituzionalità della legge elettorale e delle sue modifiche con la previsione che ogni nuova norma elettorale sia sottoposta d'ufficio alla Corte costituzionale, in modo che sia sottratto alle forze politiche il totale arbitrio sulla legge elettorale medesima e la tentazione di scrivere norme che finiscano per conferire benefici a sé medesime e a danno degli elettori.
Solo un esempio o non anche una spinta per andare oltre il bipolarismo?
Il sistema che abbiamo delineato ha caratteristiche di semplicità, di scarsa manipolabilità, di riconsegna all’elettore della facoltà di influire sulle scelte della politica che gli sono state sottratte dal ceto politico sin dai tempi della cd Prima repubblica, quando una struttura partitica sovrastava le espressioni della volontà popolare, che nel dopo Prima repubblica, la cd Seconda (in realtà mai nata) nella quale maggioritario prima e Porcellum dopo hanno ulteriormente sottratto potere all’elettorato. Un avvertimento conclusivo: nessuna legge elettorale è un toccasana che produce sempre e comunque buoni risultati, che dipendono invece sia dal modo con il quale i cittadini si esprimono ma anche dalle offerte politiche dai programmi e dai contenuti che gli attori politici, partiti e movimenti, propongono ed implementano. Una legge elettorale è solo uno strumento di trasformazione delle volontà degli elettori in rappresentanze politiche (parlamento, regioni, comuni) in grado di recepire nel modo più ampio, cioè responsivo, le istanze dei cittadini, del popolo, cui “appartiene la sovranità”, ma che può esercitarla solo “nelle forme” previste dalla Costituzione. Se le forme non sono adatte e congrue, non c’è nessuna sovranità popolare, anzi ha luogo la sottrazione della sovranità popolare da parte delle macchine organizzative delle oligarchie partitiche. Questo sistema non ambisce ad essere il migliore, né vanta di non essere migliorabile. E’ stato proposto come esempio concreto per dimostrare che proporzionale e governabilità possono andare a braccetto, anzi che la vera governabilità ha come presupposto quella rappresentatività piena che solo un sistema proporzionale assicura. Le alzate di scudi a favore del maggioritario come inattaccabile dogma si rivelano, alla luce di quanto asserito qui, solo il tentativo di occultare i disastri prodotti dal maggioritario nella politica italiana nella migliore delle ipotesi, e di affermare sopra la sovranità popolare a base democratica il dominio minoritario di una alleanza tra oligarchie dentro il sistema politico e oligarchie di potere fuori da esso, nella peggiore, ma certamente più probabile, delle ipotesi.
Mauro Stampacchia
21 dicembre 2013



martedì 17 dicembre 2013

Elezioni al Liceo Buonarroti: un commento.

Giunti al termine delle elezioni della rappresentanza studentesca del Liceo Filippo Buonarroti di Pisa,è il momento di un'analisi delle dinamiche in cui l'oggettività e l'attinenza al vero siano il canone e la via per esprimere le scelte degli studenti.

Dobbiamo avere presenti alcuni tasselli che andavano a comporre il mosaico precedente all'elezione.

Su 987 studenti votanti, un quarto di essi erano studenti appartenenti alle prime classi, matricole che da nuovi arrivati non conoscevano coloro che sarebbero andati a votare e nemmeno la storia generale della rappresentanza studentesca e le sue prerogative. 

Dopo lo scorso anno in cui la candidatura di due liste ruppe “l'egemonia” del Collettivo nella rappresentanza studentesca, siamo arrivati con quest'anno all'apogeo della politicizzazione degli studenti espressa con la candidatura di quattro liste.

La domanda che sorgono spontanee sono: ma come può una scuola avere quattro liste? 

In effetti anche io ho provato a rispondermi a questa domanda ma non sono riuscito del tutto a chiarirmi le idee se non con una semplice risoluzione, gli studenti che video l'anno precedente la candidatura e la netta vittoria della “Lista Alternativa” hanno ben pensato di accaparrarsi di un ruolo importante ma che effettivamente non ti da alcuna prerogativa, politica non vuol dire correre ad una pseudo poltrona, a mio parere, ma vuol dire essere l servizio.


Ritornando alle liste è bene capire quali siano le differenze tra una e l'altra: vi posso assicurare che non ce ne sono. Programmi non molto differenti l'uno dall'altro, dibattito composto non da un'analisi attenta delle proposte ma da una imperterrita macchina del fango utilizzata per accusare una delle liste, “Lista Non Conforme”, di essere ad ispirazione neofascista e chi -oltretutto- utilizzava la macchina del fango poco dopo si dissociava da ciò che aveva detto poco prima.

Abbiamo sentito proposte come DEPICCIONIZZAZIONE, CESTINI IN TERRAZZA, BAGNINI IN PISCINA PER UTILIZZARLA ANCHE NELLE ORE DI EDUCAZIONE FISICA. Sembra di essere nel paese delle meraviglie: non si vede che i problemi sono nei laboratori dove mancano i fiammiferi; nell'ecologia, non nell'aumento di cestini.

Concludo questo commento con alcune parole di un grande personaggio, da poco scomparso, che ha segnato la storia della politica degli ultimi decenni. Nelson Mandela sull'Istruzione diceva: 


"L'istruzione è il grande motore dello sviluppo personale. È attraverso l'istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, che il figlio di un minatore può diventare dirigente della miniera, che il figlio di un bracciante può diventare presidente di una grande nazione. È quello che facciamo di ciò che abbiamo, non ciò che ci viene dato, che distingue una persona da un'altra."

Osservatore Interno

martedì 10 dicembre 2013

Veniamo da lontano ma non sappiamo dove andare [di Fabiano Corsini]

Di Fabiano Corsini

Quando nel 1991 nacque il PDS, io fui tra quelli che lo salutarono entusiasti. Ero nel PCI da sempre, ma non volli l'ultima tessera. La passione dei comunisti italiani per Gorbaciov mi era parsa tiepida e ambivalente. Glasnost e Perestroika parevano fatti che riguardavano l'Unione Sovietica, mentre tutto cambiava quando si arrivava all'Italia, dove niente si doveva muovere. 

Avevo frequentato e continuai a frequentare gli apparati. Ma nei miei studi giovanili c'erano stati Pareto e Habermas, nelle mie passioni Rosa Luxembourg e i marinai di Kronstadt. Insomma diffidavo, e diffido, della vischiosità delle organizzazioni e mi fanno paura i guardiani dell'ortodossia che sempre le organizzazioni fanno crescere e prediligono. In quegli anni io ero riformista, forse lo sono ancora. Certo che la parola oggi è molto compromessa. L'Italia avrebbe dovuto “liberalizzare” molte cose, buttare già molte incrostazioni corporative. Alcune di queste erano cresciute accanto ai movimenti, escrescenze parassitarie che si erano saldate con gli apparati del nostro partito. Sintomatico l'atteggiamento nei confronti delle esternalizzazioni di alcune attività degli enti pubblici. La maggioranza, gli ortodossi, si dicevano contrarissimi. 

Per questo schifavano indignati le proposte di governare i processi, che pure andavano avanti impetuosamente, di privatizzazione di servizi. Loro erano contrari, e dunque, nel partito e nel sindacato, nessuno prestò attenzione alla montagna di elaborazioni che, pur a sinistra venivano prodotte. Questo era l'atteggiamento ufficiale. In concreto, i nostri amministratori in quegli anni esternalizzavano tutto, senza governare nulla. La povertà degli strumenti utilizzati per quella fase delicatissima di transizione, era surrogata da una pratica per cui si creavano strutture parallele, autentici fortini dove piazzare compagni e persone fidate, centri di potere sottratti a ogni tipo di serio controllo democratico. Tutto il resto, o almeno molto altro, dagli enti pubblici transitava verso il privato, senza nessuna forma di controllo, senza che si definissero contratti di servizio degni di questo nome. 

In materia di lavoro la miopia degli apparati fu drammatica. Formalmente contro ogni tipo di flessibilità, tanto che uno come Tarantellli (che aveva la tessera dalla CGIL) era costretto a lavorare per la CISL, si mettevano in atto le peggiori forme di precarizzazione, in concreto con le cooperative, poi con leggi che precarizzavano tutto senza introdurre niente che rendesse più forti i lavoratori alle prese con la flessibilità. Ancora oggi non abbiamo reddito di cittadinanza e una componente di sinistra che ha ancora una certa forza (si fa per dire) sostiene di essere contraria in nome del diritto al lavoro. Apparentemente ortodossi e duri, il vecchio gruppo dirigente si adeguò alla disfatta di Gorbaciov mettendo al sicuro sé stesso e portando il cervello dalla parte di qua del muro: lo ammettessero o no (ma poi cominciarono tutti ad ammetterlo con entusiasmo) tutti furono conquistati della ideologia del mercato, in nome della modernità e del realismo.

Mi piacque Occhetto, assecondai senza entusiasmo anche Veltroni. Mi parevano, a sinistra, il male minore. Occhetto e Veltroni furono travolti; ma non da sinistra, semplicemente dalla forza degli apparati e della conservazione. In nome di un “comunismo” mai praticato ma solo interiormente evocato, di una “rinascita” non più auspicata pensando a grandi ideali, ma solo in ragione di una antico ricordo di “diversità”, che fosse morale, ideale o identitaria poco importa.

In questi anni la vecchia talpa, nel mondo, ha continuato a scavare. Il pensiero critico non si è tacitato. Economisti, filosofi, sociologi: la ribellione nei confronti del pensiero unico è entrata non solo nelle accademie e sulle riviste, ma anche nei centri studi, nelle istituzioni mondiali. Ci sono grandi movimenti, che qui si preferisce deridere, che mettono in discussione il mito della crescita; la preoccupazione per le sorti del pianeta si intreccia con quelle per le grandi ingiustizie, per la tragedia della fame, della sete, della povertà. Il pensiero critico riacquista credibilità, agita le coscienze, muove i popoli. Da noi arriva per la via della Chiesa, mentre i nostri giocano con la green economy e fanno affari con i voucher delle energie alternative. E' una battutaccia, per dire che la nostra sinistra è rimasta isolata e arretrata, sostanzialmente muta.

I risultati delle primarie sono il risultato di tutto questo. La sinistra , quel gruppo dirigente che veniva dal PCI e che negli ultimi mesi ha finalmente pensato di organizzarsi per resistere a Renzi, ha ingaggiato una battaglia portando in dote questa sua sostanziale ambiguità. Veniamo da lontano, ma non sappiamo dove andare, hanno detto. Come potevano vincere?

Non riesco a dare a Renzi l'apertura che riservai a Veltroni. Forse proprio perché ho capitalizzato quella delusione. Non posso aspettarmi che uno che non è di sinistra faccia il miracolo di ridare la vita ad un morto. Ma non sono nemmeno cieco nel pregiudizio: credo nelle persone, credo che la storia non sia finita e non finisce con il pensiero unico. Il partito è fatto di tanta gente che continua a pensare e ad agire. In tutti questi anni, una cappa vischiosa di ideologia e di potere ci ha imbrigliati tutti. Non è detto che ora le cose siano diventate più difficili.

sabato 7 dicembre 2013

"Due uomini soli al comando" di Marcello Buiatti

Purtroppo si sta avverando quello che in questi ultimi tempi ho pensato temuto e cercato di dire. Finalmente é ufficiale la alleanza fra Grillo e Berlusconi, due "uomini soli al comando" e cioè ben due duci salvatori che adesso insieme hanno come obbiettivo anche se in modi diversi la distruzione della democrazia in questo Paese. Berlusconi era un uomo di Gelli e della P2, una organizzazione, o meglio una serie di organizzazioni che facevano capo a un uomo solo, ma restavano almeno in parte segrete perché la atmosfera italiana non era pronta per una dittatura probabilmente anche perché si ricordava ancora della precedente, quella fascista. Le forze politiche democratiche in altri termini riuscivano a controllare e a volte anche a combattere con successi parziali le diverse P, nuclei eversivi che miravano all'accumulo di denaro ma anche al controllo completo del Paese. Ho sempre sospettato fra l'altro e non davvero solo io che nel periodo delle brigate rosse e dell'apice della forza delle mafie ci fossero legami anche con queste forze occulte. Ora la situazione é cambiata e quelli che vogliono la dittatura possono uscire allo scoperto perché é la gente che la vuole o almeno vuole distruggere lo stato democratico, pensando e dicendo che la colpa del disastro italiano é tutta delle istituzioni democratiche, chiamate con il grazioso nome di "casta" da alcuni ideologi del cambiamento. Nessuno pensa realmente di combattere quelli che una volta chiamavamo padroni e che ora sono i leggendari imprenditori che hanno sostituito la economia reale con la speculazione finanziaria. Non é a caso che l'antesignano di questa bella banda sia proprio Berlusconi, uscito allo scoperto molto tempo fa e causa principale del nostro disastro. La gente purtroppo va dietro ai due urlatori perché , nella rabbia delle difficoltà di vita che Berlusconi ma anche il grande Agnelli hanno creato, vuole distruggere qualcosa che non sa e non conosce e si affida quindi a queste due persone contro tutte le istituzioni democratiche. Per me è un esempio individuale ma importante un giornalaio da cui ho preso ogni giorno l'Unità per tanto tempo, figlio di una bravissima persona, che aveva lavorato in fabbrica ed era nella CGIL, che pensava proprio come me e con cui parlavamo piacevolmente tutte le mattine , legati come siamo stati noi della sinistra vera. Questa persona, pur mantenendo un qualche livello di ragionamento, ha votato per Grillo alle prime elezioni a cui si è presentato e poi, anche spinto dalla sua famiglia che era di altra formazione, si è pentito di averlo fatto. Ora questo stesso giornalaio mi ha detto urlando che vuole un dittatore che faccia piazza pulita della casta. Ecco, ora ne ha due, uno vicino all'altro, che hanno capito che ora si può perché la gente, come avvenne al tempo del fascismo con la alleanza dei poteri forti di allora fra cui Valletta degno predecessore di Agnelli, contro una democrazia che non era in grado di reggere il colpo. Purtroppo anche adesso la democrazia é debole, i Partiti della sinistra sparpagliati e litigiosi come è stato l'altra volta ( basti pensare che il PD, più grande partito della sinistra sarà comandato da un urlatore meno bravo di Berlusconi e Grillo e anche meno pericoloso, ma pur sempre uno che tende a diventare il capo supremo). A me pare che siamo giunti ad un momento molto grave e che sia necessario fin da ora prepararsi non solo a combattere quello che succede ma a discutere finché ci resta fiato chiarendo che una rinascita di questo Paese o si fa insieme o non è visto anche che i possibili duci che abbiamo sull'orizzonte sono meno sanguinari di Benito ma anche meno capaci di fare qualcosa in positivo e lo dicono persino apertamente. Questa volta sono solo due persone pericolose e incapaci di fare qualcosa che non sia direttamente positiva solo per loro stessi. Ognuno di noi che ancora crediamo nella necessità di un sistema democratico, si impegni ogni giorno a parlare con gli altri non con comizi inutili ma discutendo per quanto ancora possibile su quale è la nostra reale situazione e da che parte bisogna andare per riprendere la strada di un grande/piccolo Paese che rischia di auto-distruggersi

venerdì 6 dicembre 2013

Manipolare la politica. Sistemi elettorali vecchi e nuovi di Mauro Stampacchia


La sentenza della Corte Costituzionale, che dichiara la incostituzionalità del "Porcellum" in alcune sue parti essenziali, segna uno spartiacque. E, mentre urge la riforma della legge elettorale, spinge a riflettere sui sistemi elettorali negli ultimi due decenni, guardando sia alle intenzioni che animavano i cd. "riformatori", che ai risultati conseguiti. Se ne possono trarre, tra l'altro, oltre a considerazioni interessanti per la storia politica italiana recente, anche utili considerazioni per il futuro.
L'arco, ormai concluso, di quello che chiameremo, ma solo per convenzione, “riformismo” elettorale, ci presenta risultati estremamente discutibili, non solo perchè siamo approdati al sistema peggiore di tutti, il Porcellum, ma anche per il divario tra intenzioni proclamate e risultati della riforma elettorale. Il risultato che si è ottenuto, e che probabilmente stava anche negli intenti di alcuni, è un sistema politico manipolato e che continua a prestarsi ad esserlo. Gli esempi che abbiamo di fronte dimostrano ad abundantiam che in qualche caso l'obiettivo della riforma elettorale, e certo il risultato, è stato una profonda manipolazione della rappresentanza, e con essa della politica, e forse anche la volontà di continuare su quella strada.
Torniamo indietro al fatidico 1993 quando a furor di referendum viene accantonata la legge proporzionale in vigore dal dopoguerra. In quella occasione la riforma elettorale veniva presentata dai propagandistici del sì al referendum come una imperdibile occasione per sbloccare il sistema bloccato di quella che veniva chiamata la Prima repubblica, nella quale un ceto inamovibile della politica  generava corruzione, rapporti distorti con l'economia, e in complesso un sistema privo di governabilità autentica, con governi destinati a durare molto poco, e certamente molto meno di quanto sarebbe stato necessario per introdurre elementi di riforma all'altezza delle esigenze del momento. A favore dell'abrogazione referendaria giocarono diversi argomentazioni. Quella “decisionista”, con sapore conservatore, che indicava nella debolezza dei governi il maggior problema, poteva andare a braccetto con chi vagheggiava un sistema a due poli perchè solo così si sarebbe potuto trovare la via dell'alternativa/alternanza al regime. Forte veniva sentita l'esigenza di un cambiamento di classe politica e di indirizzo politico, e questa esigenza fu quella che offrì una piattaforma aurea ai referendari. Il sistema maggioritario-uninominale, l’opposto del proporzionale, era inoltre accreditato, con molta e strabordante pubblicistica, di benefici quali la riduzione del numero dei partiti e della frammentazione del sistema, oppure anche della convergenza al centro del sistema stesso: secondo questa ultima argomentazione in ognuno dei due schieramenti avrebbero prevalso, se mi si passa il linguaggio calcistico, le mezze ali, in competizione per l'elettorato di centro. Gran parte di queste previsioni, mutuate quasi con il copia-incolla da schemi prevalentemente teorici, si sono rivelate, come vedremo, del tutto infondate.
Il punto che accomunava argomentazioni diverse era però estremamente pericoloso, e cioè che solo una modifica procedurale poteva garantire il cambiamento. Non contenuti programmatici, non istanze valoriali, non nuovi obiettivi politici, ma solo una modifica nel modo di funzionamento del sistema avrebbe garantito, quasi in automatico, il passaggio ad un altro sistema politico. Sarebbe stato come se gli ingegneri (la metafora era assai in voga allora e si parlava infatti di "ingegneria istituzionale") aggiustassero un motore di automobile e questa riparazione garantisse di per sè che il motore andasse, di forza propria, nella direzione voluta. In fondo si trattava, veniva detto, di una manipolazione buona, una manipolazione a fin di bene. Ma comunque di una manipolazione. Al posto di una rivoluzione democratica, che è il nome che si da ad un processo che accantona un regime e una classe politica e lo sostituisce con uno nuovo, più democratico e portatore di un ricambio radicale del ceto politico, si preferì dunque la manipolazione elettorale.

Non si scelse però la via radicale del "maggioritario secco", il cd. "sistema Westminster", in vigore in Inghilterra (e pochi altri paesi), secondo il quale l'elettorato si divide in collegi piccoli, ciascuno dei quali esprime un solo rappresentante, quello che ha più voti (anche se non raggiunge la maggioranza del 50%) e la maggioranza si crea nella Camera, ed è sempre ottenuta, anche se spesso molto più forte del numero dei voti (in un caso storico la maggioranza dei deputati fu prodotta da una minoranza dei voti). Si scelse un sistema misto nel quale il 75% dei seggi sarebbe stato attribuito dai collegi uninominali e il 25% invece sarebbe stato attributo da liste proporzionali che avessero superato la soglia del quattro per cento, liste però bloccate che non consentivano quindi all'elettore di scegliere tra i candidati proposti. Dal suo proponente, questa legge venne chiamata Mattarella, ma un politologo di primo piano, Giovanni Sartori, gli appioppò il soprannome di Mattarellum per sottolineare quelle che per lui erano le gravi falle di quel nuovo sistema.
E in effetti il Mattarellum non era esente da critiche. Si poteva registrare innanzitutto una curiosa inversione dei fatti (alla quale ci saremmo dovuti tristemente abituare sempre di più anche in altri campi); quel sistema era presentato come capace di "ridare lo scettro al Principe". cioè all'elettore un potere decisionale e di scelta anche dei candidati, ma in realtà riduceva, e non aumentava, questa possibilità. Il sistema dei collegi che si era creato non era quello ottocentesco nel quale il partito era debole, anzi proprio non esisteva e al massimo si esprimevano, collegio per collegio, dei comitati elettorali non permanenti. Ma quello nel quale una ferrea classe politica, articolata in partiti nazionali, poteva garantire un controllo centralizzato dei collegi, nei quali l'elettore poteva scegliere tra pochi candidati, due o al massimo tre. Scelta possibile da parte dell'elettore: zero. Se nel suo collegio l'elettore moderato di centrodestra si trovava di fronte ad un candidato come (i primi che mi vengono a mente) Previti e Dell'Utri, o vota quelli o sposta il voto su chi, di centrosinistra, non lo rappresenta, o si astiene. Venne detto autorevolmente che con quel sistema ogni polo avrebbe potuto, se lo voleva, eleggere un paracarro. Nel residuo 25% proporzionale, nessuna preferenza. (Ancora una ricostruzione storiografica completa, di tutte queste dinamiche e delle motivazioni di ogni singola scelta e dettaglio, manca).
Le previsioni non si verificarono. Non quella di favorire i moderati, perchè la nuova alleanza tra Forza Italia di Berlusconi e la Alleanza Nazionale di Fini, non certo moderata, dominò uno dei due poli e vinse le elezioni del 1994. Nemmeno la previsione della riduzione dei partiti si verificò: anzi le piccole formazioni ebbero buon gioco a negoziare il proprio appoggio all'uno e all'altro polo, alzando la posta, nei collegi, e quindi crebbero di numero (e di volatilità); in qualche caso la forza minore, anche esterna ad un polo, contrattò una sua desistenza (cioè il non candidarsi in gran parte dei collegi) in cambio della candidatura da sola in qualche collegio dal quale si asteneva dal candidarsi un esponente del polo. Quello che era successo, se si dovesse riassumere in una formula, era che un paese che esprimeva tra quattro e sei grandi correnti di orientamento politico faticava moltissimo ad infilarsi dentro un sistema bipolare che forzosamente portava a unioni non sempre ben riuscite. Con tutto questo, alla lunga, si determinava una tendenza alla inevitabile bipolarizzazione della politica, che peraltro non riusciva a rendere più stabili i due poli. Nel centrodestra le scissioni di Casini prima e di Fini dopo, con il rafforzarsi della leadership individuale di Berlusconi; nel centrosinistra invece, una "fusione a freddo" tra Margherita e Ds, fino a quel momento cordiali alleati, ha generato un Partito democratico molto più conflittuale, senza che si consolidasse a sinistra, anche causa la legge elettorale, una forza stabile.
La falla più grande, che rimaneva nello sfondo, era la possibile grave contraddizione con la Costituzione, in almeno due punti. La possibilità che si generasse una maggioranza in Parlamento, "drogata" dal maggioritario, che superasse la soglia dei due terzi necessaria a modificare la Costituzione. Quest'ultima prevede a suo presidio la modifica solo ad opera di una maggioranza ampia e qualificata, i due terzi, ma eletti con la proporzionale, quindi pari a due terzi degli elettori. Col maggioritario in particolari circostanze si può arrivare a due terzi dei seggi anche con meno del 50% degli elettori. La seconda contraddizione con la Costituzione riguardava invece il fatto che, come affermato a gran voce dai sostenitori del maggioritario, la maggioranza uscita dalle urne avrebbe indicato il capo del governo in modo certo, univoco, quasi automatico. Ma la Costituzione italiana, che è e rimane una Costituzione parlamentare, dice altro: l'incarico di capo di governo viene conferito dal Presidente della Repubblica ed è efficace solo dopo la fiducia delle Camere. Il Presidente della Repubblica ha una funzione di mediazione e di governo della procedura che contrasta con qualsiasi automatismo. Questo aspetto del Mattarellum finisce quindi per aprire la strada ad un sistema plebiscitario, cesarista, guidato dall'uomo forte che domina le elezioni: il maggioritario ha coinciso con l'ascesa di Berlusconi e lo ha in parte favorita, anche avendogli consentito di calamitare a sé l'opposizione alla sinistra. Questo fatto è ora posto in ombra dal fatto che Berlusconi sostituì il Mattarellum nel 2005 con una nuova legge elettorale, il Porcellum (ma dopo la sentenza della Corte costituzionale ripropone non a caso il Mattarellum).
Per capire invece il (defunto) Porcellum in tutte le sue sfumature e tetri dettagli, che spiegano anche il soprannome subito affibbiato, occorre ricordare che la legge elettorale, che è la vera matrice del sistema politico, non è una legge costituzionale modificabile solo con maggioranze qualificate, ma è una legge ordinaria, che può essere modificata o manomessa dalla maggioranza al governo. Insomma, malgrado le ripetute dichiarazioni di voler fare una legge condivisa da tutti, è possibile che la maggioranza di governo si faccia, volta a volta, una legge su misura, uan specie di abito sartoriale. Il centrodestra era in grave difficoltà di consensi, si prevedeva una vittoria del centrosinistra, che il Mattarellum avrebbe amplificato. Per tutta risposta il centrodestra si approvò una legge, su proposta di Calderoli, che mescolava assieme il peggio del proporzionale ma manteneva uno schema maggioritario. Nessuna possibilità di scelta tra candidati, sia alla Camera che al Senato, e questo in stretta continuità con il Mattarellum. Nella Camera un vistoso premio di maggioranza alla coalizione che prendeva più voti, o anche solo un voto di più della seconda, indipendentemente dal superamento del cinquanta per cento dei voti, o di qualsiasi percentuale. Al Senato, e qui quella che il suo stesso autore definì la "porcata" che dette il nome al sistema, invece il premio di maggioranza veniva dato regione per regione con la possibilità che si annullasse a vicenda, fino al punto di dare maggioranze fragili nel Senato o addirittura maggioranze diverse tra le due Camere. Ed è questo che puntualmente avvenne nelle elezioni del 2006, quando la vittoria risicatissima del centrosinistra di Prodi incalzato dalla rimonta di Berlusconi strappò una maggioranza fragilissima al Senato, portando ad una legislatura presto interrotta e alla nuova vittoria del centrodestra nel 2008. Le ultime elezioni del 2013 han puntualmente portato ad un risultato di stallo, da cui sono uscite le "larghe intese".
La disinvoltura del centrodestra, il suo laico cinismo di fronte al potere, si esprime benissimo nel Porcellum, il quale è ritagliato, non occorre dimenticarlo, sul precedente della legge regionale toscana, che ora fortunatamente (ma tardivamente) sembra essere in via di riforma. La sua caratteristica deformatrice dei meccanismi della politica reale salta agli occhi quando si vede come, impedendo all'elettore di scegliere il suo eletto si rafforza grandemente il meccanismo che rende deputati e senatori dipendenti da chi li ha "nominati". Questo serviva a Berlusconi per frenare la fuga dei suoi e rendere chiaro che la sorte loro dipendeva da lui stesso, per la verità in virtù anche di altri fattori, quali la disponibilità dei media e di vaste ricchezze. Ma la cosa, per la verità, non dispiaceva nemmeno all'altro schieramento, almeno ad una sua parte.
Il Porcellum, proseguendo sulla strada della precedente legge elettorale, ha portato il meccanismo di manipolazione della politica e delle sue dinamiche ad un livello mai raggiunto. Ha rafforzato i meccanismi di casta presenti nel ceto politico e ha ulteriormente allontanato politica e società. E' stato l'esperimento più manipolativo della storia elettorale italiana, se si esclude naturalmente le politiche elettorali del regime fascista dalla legge Acerbo in poi. Ed è significativo che sia stato un intervento della Corte Costituzionale e non una autoriforma della attuale politica ad averlo definitivamente accantonato. Del resto la attuale politica è malata anche perchè frutto del Porcellum, e, prima ancora, del Mattarellum. Per il futuro è possibile, ed anche necessario, lavorare per consolidare garanzie e vincoli di tipo costituzionale in materia elettorale, per limitare l'arbitrio e porre limiti alla manipolazione. La costituzione pone, in vari articoli, alcuni principi elettorali ma nulla dice direttamente della legge elettorale, anche,  se come si è visto, si può fondare un giudizio di costituzionalità su una legge elettorale anche confrontandola con l'intero impianto costituzionale. E' però possibile e utile, in sede di riforma costituzionale, introdurre norme che dettino ulteriori principi, oltre quelli previsti dall'art. 48, che ogni legge elettorale deve rispettare, primo tra tutti il diritto dell'elettore a scegliere tra i candidati esprimendo preferenza, un criterio di tutela delle minoranze, o anche dettando criteri di massima per la legge elettorale, sul modello di quanto si afferma, per esempio, circa il "sistema tributario" che, secondo l'articolo 53, deve essere "informato a criteri di progressività". Questo rafforzerebbe un sindacato di costituzionalità e quindi la possibilità di intervento/correzione della Corte Costituzionale in tema di legge elettorale.
Si intuiscono le argomentazioni contrarie: la politica non deve subire intromissioni, deve essere lasciata libera di formare i suoi equilibri, la presenza della Corte Costituzionale rompe la divisione dei poteri tra legislativo e giudiziario. Purtroppo la realtà ci fornisce un quadro diverso, quello di una politica che non ha saputo, nè voluto, arrivare ad una autoriforma elettorale. Molto spesso il modo di vedere un sistema elettorale da parte dei partiti risponde alla domanda: quanto vantaggio può trarre il mio partito da questa legge? e non piuttosto: quanto può il sistema politico, la democrazia, la vita pubblica trarne? In una formula, qual'è la "responsiveness" di una certa legge, la capacità cioè del sistema elettorale che ne scaturisce, di farsi espressione fattiva delle istanze democratiche e di saper rispondere a queste istanze.
Benvenuta quindi la costituzionalizzazione della legge elettorale.
Bisogna però pensare al nuovo sistema elettorale, perché l'intervento della Corte Costituzionale può mettere dei paletti, ma non proporre una nuova legge elettorale che corrisponda alle esigenze del rinnovamento democratico. Possiamo infatti, dopo tutto questo, come diceva una nota pubblicità, "continuare a sbagliare candeggio"?
(segue)  

Animali celesti, teatro d'arte civile: un progetto di Alessandro Garzella

ANIMALI CELESTI/teatro d’arte civile è una compagnia diretta da Alessandro Garzella, autore di opere e progetti d’impegno artistico e politico.  Al centro del progetto l’emarginazione come fonte, le differenze come risorsa, l’eversione poetica, la sovversione artistica, le periferie umane che vivono negli scantinati, negli angoli bui della dimenticanza, nei centri d’igiene mentale, in quelle marginalità culturali che danno forma e voce alle necessità degli ultimi. La compagnia sperimenta pratiche di residenzialità e nomadismo prevalentemente svolte in Toscana e in Lombardia, attraverso cantieri territoriali che, oltre ai progetti realizzati a in collaborazione con ASL 5 Centro diurno di San Frediano a Settimo, Comunità Basaglia e Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa, si sono consolidati a Capannori con il CANTIERE DELLE DIFFERENZE e a Bergamo presso la COMUNITA’ TERAPEUTICA IL GERMOGLIO DELLA FONDAZIONE EMILIA BOSIS. La compagnia aderisce e coordina la rete TEATRI DELLE DIFFERENZE, costituita tra artisti e compagnie toscane.

 
 
 
dal manifesto costitutivo
…un laboratorio di ricerca artistica sulla devianza, sull’espressione delle pulsioni e degli istinti, sulla natura dell’irrazionale e del difforme, intesi sia come manifestazioni di sofferenza e degrado sociale che come emergenze interiori, legate ai bisogni e ai misteri della nostra esistenza…
…il progetto di una compagnia che aggrega altre compagnie e artisti che vogliono condividere, in modi, luoghi e periodi differenti, le azioni creative di un’esperienza professionale molto specifica, di produzione, di militanza e di specializzazione espressiva sulle forme di alterità, a partire dai disturbi del comportamento e della devianza mentale…
…una bottega di formazione per giovani attori e studenti universitari, luogo di perfezionamento disciplinare e umano che valorizza le fisionomie individuali e la cultura della diversità attraverso l’apprendimento della metodologia del gioco del sintomo, applicando tecniche d’ascolto e d’espressione…           
…un’azione politica di radicamento territoriale volta all’integrazione delle identità, alla valorizzazione di testimonianze di vita alternative ai canoni dell’omologazione…
…un’idea di teatro politico, visionario e metafisico, in bilico tra squilibrio e armonia, tra narrazione e astrazione, tra l’espressione dei simboli dell’immaginario collettivo e l’utopia …
I progetti e le opere
 
OPERE:
vangeli storti – vangeli di strada - i segni di caino – favola sulla mutazione della razza umana – porno dramma
 
PROGETTI:
Attori di/versi (Riglione/Pisa) – Cantiere delle differenze (Capannori/Lucca) – residenza artistica presso la Comunità Il Germoglio Fondazione Emilia Bosis (Verdello/Bergamo) - Attori di integrazione sociale (corso di formazione professionale FSE Regione Toscana Provincia di Pisa Clinica Psichiatrica Università di Pisa) – Calendisole/Calendiluna (oasi naturalistica del Busatello/Ostiglia/Gazzo Veronese) – docenza Corso di laurea per Tecnici di Riabilitazione Psichiatrica dell’Università di Pisa

Vangeli di strada: che cosa sono?


Scheda artistica
La FONDAZIONE EMILIA BOSIS è un organismo istituzionale no profit che, raccogliendo l'eredità storica e culturale della Comunità Logos dell'ex Ospedale Neuro-psichiatrico di Bergamo, è delegata ad occuparsi direttamente delle persone che soffrono a causa di disturbi mentali, intervenendo sulle manifestazioni psicopatologiche e sociali del paziente attraverso mirate metodologie di intervento terapeutico e socio-riabilitativo.
 
ANIMALI CELESTI/teatro d’arte civile è un’associazione culturale diretta da Alessandro Garzella, autore di opere e progetti di impegno artistico e civile tra i quali sono ricordare la trilogia del dolore Crazy Shakespeare/Nella mani di pazzo/Re Nudo, la creazione de La Città del Teatro e dell’immaginario contemporaneo di Cascina, le pubblicazioni e gli studi universitari sulla metodologia del gioco del sintomo in ambito espressivo e relazionale.
VANGELI DI STRADA  
con Valentina Grigò, Francesca Mainetti, Chiara Pistoia e Giulia Benetti
e con la partecipazione scenica di: Federica Agnello, Alessandra Bergamini, Albina Bonati, Annalisa Borali e Atelier della danza, Francesca Brambilla, Ermanno Centimerio, Chiara Ceruti, Valentina Cortesi, Lisa Crea, Nicoletta Fasoli,  Lisa Giacomazzi, Manuel Lazzaroni, Andrea Lorenzi, Massimo Neri, Matteo Previtali, Claudia Redolfi, Walter Riva,  Romeo Rota  
cavalieri: Ventura Fernandez Suarez, Angelo Beretta, Paolo Adami, Simona Armanelli, Luciano Caio, Marco Rondi. 
amici dei cani: Silvio Aceti, Riccardo Baschenis, Alessio Bonati, Simone Caio.
amico dei rapaci: Sergio Ubbiali, 
conduttori di carrozze e carri: Armando Testa, Luigi Meraviglia, Ranch Colomba Solitaria,
si ringraziano gli animali: Chaec please, Ice play boy, Franco, Romerita, Ventureiro, Tunder Of  Tungy, Hoero, Gabber, Morgana, Miss Dupount, Union, Sirene, Edolo, Galad, Ginger, Brando, Shela, Greis e Pisolo
supervisione  progettuale: Roberto Castelli, Marco Facoetti ed Ernesto Lodetti
fonica e tecnica di scena: Carlo Dall’Asta
costumi Rosanna Monti
coordinamento artistico e movimenti degli animali: Pier Giacomo Lucchini
scritto, diretto e messo in scena da Alessandro Garzella
 
Cerchiamo le radici di un’epoca nuova, quella che sconquassa la testa di tutti noi, mentre giriamo a vuoto... sempre più spesso a vuoto… nel vuoto…  “come pazzi nella Dopostoria, mostri, nati dalle viscere di una donna morta, più moderni dei moderni, cercando i fratelli che non ci sono più”... Ai benpensanti è rimasto un solo pensiero: il denaro è dio. E allora, proprio quando i mercanti scappano dai templi, lasciandoci qualche porcheria, è il momento in cui bisogna ritrovare i Vangeli… Bisogna cercarli, nei caseggiati di periferia, sui muri degli ospedali, tra i ritagli dei giornali e sui libri della nostra storia…. Cercarli nelle cronache d’oggi, che assomigliano incredibilmente alle leggende antiche, divenute all’improvviso molto più moderne di noi…  Se ne stanno nascosti, i Vangeli, nelle dimensioni dell’ignoto, nelle energie che attraversano le stelle, come figure che congiungono l’umano al disumano, ibridi, tra gli animali e gli dei…
L’opera teatrale, composta in stile performativo, nasce dal bisogno di approfondire l’intreccio tra arte, scienza e follia umana con i misteri della nostra esistenza, con le energie invisibili che ci circondano, con la necessità di ricercare, anche nelle forme apparentemente più strampalate e bizzarre, le vie personali della purezza, della felicità, della bellezza.
Emilia, fondatrice di una comunità psichiatrica, ha sovvertito la razionalità del nostro mondo. Nell’irrazionalità dei suoi pensieri si nasconde una forza che congiunge anima e animalità, libertà e prigionia, violenza e dolcezza, pesantezza e leggerezza, saggezza e follia.
Tra i misteri della vita e della scienza si nasconde anche il segreto che talvolta affiora negli occhi dei diversi, nelle sculture di corpi deformi,  nelle scritture dei barboni, nei suoni degli zingari: sono gli ultimi eroi, sopravvissuti allo sterminio degli infami.
Forse i matti sono messaggeri degli dei, inviati in questa nuova civiltà che il pensiero razionale non comprende, perso com’è nell’indifferenza e nel consumo materiale, incurante delle bellezze della natura, incapace di comprendere il linguaggio degli animali, i vocabolari simbolici, la sacralità dell’esistenza, i segni della poesia, la purezza di alcune pulsioni irrazionali.
Però l’epoca che sta nascendo, nonostante il degrado materiale e spirituale che ci accompagna, forse sarà fondata proprio sui valori delle diversità, su un ritrovato bisogno di sacralità, religiosa e laica, quello che la sola razionalità non sa né comprendere né amare.
In versione itinerante l’opera si struttura nella forma di una sacra rappresentazione, di impronta laica, con tre camminamenti, due stazioni e un’azione scenica finale: attori, musicisti, utenti psichiatrici, educatori ed animali percorrono le vie della città annunciando l’imminente arrivo di un nuovo mondo, più bello e più giusto di quello in cui viviamo. 
 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                             
                                                                                        Alessandro Garzella e Pier Giacomo Lucchini
 

 

 

mercoledì 4 dicembre 2013

IL VECCHIO CASTELLO di Corrada Giammarinaro

In margine alle riflessioni del Prof. Pietro Ichino che auspica il rilancio della nostra economia per mezzo di manodopera sempre più precaria e dequalificata proprio perché soggetta a turnover selvaggio.
A Prato c'è la dimora di un grande imperatore, un vecchio castello. Forse Federico si aggira ancora in quelle stanze diroccate, ricordando i success...i e le conquiste. Ma a Prato c'è anche la vecchia casa, e pure essa è ormai in disuso, di un imperatore dell'industria tessile, del mio amico A. Il quale non licenziò mai nessuno proprio perché era un grande imprenditore. Nella filiera del tessile ricopriva il ruolo di preparatore dei campionari: ha firmato per anni i famosi blu di Armani, che rendevano celebre l'Italia nel mondo, selezionandoli tra le migliori produzioni locali. Figlio di un partigiano, da sempre appartenente alla grande famiglia della sinistra toscana, spesso si sfogava con me in merito all'insipienza dei rappresentanti politici di comune riferimento. "Vedi", mi diceva, "un piccolo imprenditore come me non licenzia perché privarsi di una risorsa sulla quale si è investito rappresenta semplicemente una sconfitta, e delle peggiori". Negli anni di crisi rassicurava personalmente ciascuno dei suoi dipendenti: "Ragazzi, o si resta a galla tutti o si affonda insieme. O chiudo il campionario in Germania e in Spagna, e si prosegue per un altro anno, oppure non mi cambia nulla l'avere mandato via due o tre di voi. State tranquilli, porterò buone notizie tra pochi giorni!". Ma la politica non valorizzava la produzione italiana, ormai ipnotizzata dalla circostanza che la pubblicità del marchio assumesse valore dirimente, pur se la qualità si perdeva nelle sterminate campagne della Cina o in clandestini opifici locali degni della penna di Victor Hugo. E così, tra i Soloni del sistema bancario che non prestano soldi per favorire l'innovazione tecnologica delle piccole imprese, e l'ultimo progetto di A. sull'inserimento del tessile nella filiera del riciclo era veramente rivoluzionario; e così, tra i Soloni della politica locale, interessati solo all'edilizia ed alla concessione di ulteriori cubature a quegli imprenditori che promettono di acquistare la locale squadra di calcio; e così, tra i Soloni della politica nazionale, per i quali neanche quando siano violati i più elementari diritti umani è possibile contrastare la Cina, forse perché il signor Marchionne ci vorrebbe vendere le automobili che mai produrrà; e così, la chiusura del campionario diventava di anno in anno più difficile. Una volta lo stress è stato eccessivo. A Prato c'è un vecchio castello nei cui pressi si possono ancora ricordare i successi di una filiera industriale tra le più significative della Toscana. Per il resto, la vita è altrove.

Corrada Giammarinaro