Questa
è la seconda ed ultima parte dell'intervento dal titolo: "Manipolare
la politica" di cui una prima parte è già stata pubblicata
diversi giorni fa sul blog
Proporzionalismo
e governabilità
“Bipolarismo
o morte”?
Il
bipolarismo, malgrado abbia, come si è visto, dimostrato un
rendimento, nella migliore delle ipotesi, del tutto al di sotto delle
aspettative, viene oggi rilanciato come discriminante politica, quasi
dogma inattaccabile, con argomentazioni facili, quanto fallaci. Il
vincitore delle primarie del Pd e attuale segretario Matteo Renzi lo
ha infilato nel suo programma più urgente, lo stesso Romano Prodi,
personalità di diversa caratura, ha detto di aver cambiato idea
sulla partecipazione alle primarie per il rischio che, dopo la
sentenza della Corte Costituzionale, il bipolarismo correva (e
davvero che un esponente del progressismo storico stia a paventare
rischi provenienti dalla Corte Costituzionale suscita considerazioni
amare sul progressismo italiano e sul suo costituzionalismo). Infine,
anche la più alta carica dello Stato ha una volta di più derogato
alla sua funzione super
partes per schierarsi
a favore del maggioritario e del bipolarismo.
Il
realtà, se si guarda al recente passato, Il bipolarismo ha
consegnato alla politica italiana un tasso di governabilità molto
carente, una rappresentanza distorta, e una reale incapacità di
servire come strumento di alternativa politica. Anzi ha reso più
divisiva la politica italiana, consentendo il dominio politico di una
parte (minoritaria) su tutto il resto. Bisogna infatti distinguere la
capacità di individuare un vincitore designato (questo il
bipolarismo lo fa) dalla governabilità, che è un concetto assai più
complesso che implica che il governo designato sia poi capace di
governare una società che invece il bipolarismo rende così divisa
da non essere governabile con un tasso di consenso accettabile e
condiviso, solo presupposto di una vera governabilità.
Sistema
bipolare, tripolare o multipolare?
Dopo
le ultime elezioni, con l'esplosione elettorale del M5stelle, e in
precedenza con la nascita di una forza come Scelta Civica, di minor
successo nelle urne, il sistema è diventato, inevitabilmente, almeno
tripolare, come osserva tra gli altri un politologo come Piero
Ignazi. E in letteratura è noto che una legge elettorale
maggioritaria funziona accettabilmente in presenza di due poli e
conserva il bipolarismo, ma quando si trova di fronte a tre poli,
non riesce più a funzionare con la stessa efficacia e genera effetti
gravemente distorsivi, tra l'altro di vario tipo. Un esempio viene
dalla patria stessa del sistema maggioritario, l'Inghilterra, dove il
partito terzo, i liberaldemocratici, sono sottorappresentati, e dove
è comunque necessaria una trattativa post elettorale per arrivare ad
una alleanza di governo che il voto di per sé non determina. Oggi
conservatori e liberaldemocratici hanno stipulato una “intesa” e
i laburisti sono all’opposizione.
In
presenza di tre poli, con un maggioritario si possono verificare
altre due ipotesi. La prima, più estrema, secondo la quale uno dei
tre poli non trova rappresentanza alcuna. E' un caso piuttosto
difficile, ma genera comunque, se si verifica, una caduta del tasso
di rappresentanza perchè nessuno sbocco istituzionale viene dato a
chi raccoglie tra il 20 e il 30 per cento del voto (8 milioni e passa
nelle ultime elezioni da parte del M5S). E' una ipotesi estrema ma
non impossibile, e non può essere considerata in alcun modo una
conseguenza positiva, in democrazia essendo l’inclusività un
valore irrinunciabile e che la esclusione di forze presenti
consistentemente nella opinione pubblica deve essere considerata un
danno da evitare in tutti i modi.
La
seconda ipotesi è ancora più negativa anche se più probabile. In
uno dei collegi maggioritari (il 75% del Mattarellum) il
Centrodestra potrebbe battere il Centrosinistra perché il M5S
sottrae voti a quest'ultimo, in un altro invece anche per pochi voti
il Movimento Cinque stelle prevale sugli altri due. In un terzo
ancora la soluzione va in un altro senso ancora. In una parola, un
esito a macchia di leopardo e molto legato al caso, che a livello
nazionale disegna equilibri incerti e legati al caso, un “effetto
lotteria" amplificato dal sistema maggioritario. Con il 30% dei
voti potrebbe uscire una maggioranza schiacciante del 70% di seggi.
In questa seconda ipotesi l'introduzione del ballottaggio di secondo
turno (alla francese) che si vorrebbe proprio per eliminare questo
effetto in realtà lo aggrava. Si potrebbero verificare ballottaggi
tra Centrodestra e Terzo polo, anche per un distacco di pochissimi
voti, o tra Terzo polo e Centrosinistra, e non solo tra Centrodestra
e Centrosinistra. (Il doppio turno alla francese verrebbe però
corretto all’italiana. Mentre in Francia accedono al ballottaggio
tutte quelle forze che ottengono in ogni collegio più del 12,5% la
correzione italiana ammetterebbe solo i primi due).
C’è
poi un terzo sistema che appare caro a Matteo Renzi, ed è la
trasposizione a livello nazionale del sistema di elezione del
sindaco. Ma questo, è noto, è palesemente incostituzionale perché
sottrae al Presidente della Repubblica la sua funzione di selezione
del presidente del consiglio incaricato. Ed ha, oltre a questo, una
serie di problemini non secondari, perché avrebbe bisogno di un
collegio nazionale. Comunque sarebbe un sistema a doppio turno, nel
quale il ballottaggio riguarda però adesso il sindaco, domani il
presidente del consiglio, quindi la trasformazione della nostra
Repubblica da parlamentare in presidenziale.
Quando
le squadre si scelgono le regole.
Nel
giudizio che si da sui sistemi elettorali pesano criteri che si
rifanno ai benefici che essi apportano, o si ritiene che apportino,
avendo riguardo all'interesse comune, cioè al buon funzionamento del
sistema politico. I sistemi elettorali però non sono scelti da un
organo esterno alla competizione, ma dagli stessi attori della
competizione. Per dirla con una metafora calcistica: le squadre di
calcio che scendono in campo si trovano di fronte delle regole già
definite che non possono essere da loro modificate, in special modo
in corso di partita. Le squadre politiche invece scendono in campo e
hanno la possibilità di approvare le regole di gioco, ed è
inevitabile che su questa approvazione pesi anche, e forse
sopratutto, il vantaggio che l'uno o l'altro sistema elettorale reca
al proprio schieramento politico. Quindi le valutazioni delle forze
politiche sui sistemi elettorali vanno lette non in astratto e
riferite al l’interesse comune, ma anche come spie delle attese dei
benefici a sé stesse, che le forze politiche ripongono nella
adozione di questo o di quel sistema.
Dopo
la sentenza della Corte che bolla il Porcellum
come in conflitto per molte parti con la Costituzione, molte voci,
anche da schieramenti diversi, si sono pronunciate a favore del
Mattarellum.
In qualche caso queste posizioni sono parte di una schermaglia
rivolta a posizionarsi in qualche modo nel dibattito sul nuovo
sistema, ma sono in qualche caso anche rivelatrici delle
caratteristiche della legge elettorale che si propugna. A favore del
Mattarellum
si è pronunciato, ad esempio, Berlusconi, il quale, avendo aperto
con forze di centro destra un livello di competizione, si accorge che
così verrà favorito contro queste, e quindi minaccia di correre da
solo nei collegi uninominali, così bloccando la rappresentanza di
questi suoi "cespugli". Egli sa che l'elettore di
centrodestra voterà, stante i rapporti di forza, per i suoi uomini.
E il suo nuovo competitor Alfano sembra invece schierarsi per il
doppio turno alla francese modificato, che gli darebbe più spazio,
al primo turno potendo strappare percentuali minori di Forza Italia
ma decisive poi ai fini del risultato del secondo turno. E' un tipico
esempio di manipolazione della rappresentanza attraverso i sistemi
elettorali. E di lotta politica attraverso l'uso dei sistemi
elettorali.
Il
sistema dei collegi uninominali, gran parte del Mattarellum,
è comunque vantaggioso per il Pd, perché nel modo già visto per il
centrodestra il Pd avrebbe un controllo dei collegi rispetto ai suoi
alleati di centrosinistra. In realtà il sistema più conveniente al
Pd è il doppio turno alla francese modificato, perchè così può
legare a sé potenziali alleati, rimanendo però, in virtù della
propria rendita di posizione, dominus e favorito sullo schieramento
di centrosinistra.
Pure
Grillo si è detto favorevole al Mattarellum,
perché consente a lui di giocare il tutto per tutto in vista del
progetto (assai improbabile) di ottenere il cinquantuno per cento ma
intanto con il più probabile risultato di aggiudicarsi molti collegi
così da poter di nuovo costringere questi alle larghe intese, e lui
prosperare.
Sinistra
e Mattarellum. Si giochi a carte scoperte.
Quelle
che rimane incomprensibile invece è l'appoggio al Mattarellum
quando viene dalla
sinistra. La sinistra italiana sulla scorta del modello
costituzionale ha sempre (e giustamente) scelto il proporzionale come
sistema di riferimento, principio cardine della democrazia. Con il
proporzionale gli organi elettivi sono lo specchio della società, o
almeno si avvicinano ad essa quanto una democrazia rappresentativa
può avvicinarsi ai propri rappresentati. Un sistema maggioritario
condanna la sinistra alla irrilevanza politica sbarrando ad essa la
strada del parlamento, impedendole di interagire con altri settori
della politica, portandola all'isolamento e al solo ruolo di
testimonianza. Colpisce quindi l'allontanamento della forza che più
rappresenta la sinistra che rimane, Sinistra Ecologia e Libertà, da
questa linea. Quando si pose, sul finire della scorsa legislatura, la
questione dei due referendum elettorali Sel decise di lasciare al
proprio destino il referendum Passigli (che avrebbe determinato una
modifica del Porcellum simile a quella poi determinata dalla Corte,
quindi al proporzionale) e di sposare quello di Parisi che puntava
all'abrogazione in toto del Porcellum,
nella speranza, rivelatasi poi, come prevedibile, infondata, di
tornare alla legge precedente, appunto il Mattarellum.
La Corte non ammise quel referendum proprio perché ritenne che
avrebbe causato un vuoto legislativo gravissimo (stare senza legge
elettorale equivale a rendere impossibili le elezioni).
A
quell'epoca, quando già Sel aveva gettato le basi della coalizione
che poi si chiamerà Italia Bene Comune, poi miseramente naufragata
malgrado la vittoria elettorale, questa scelta poteva essere spiegata
come un modo per rafforzare la posizione di Sel nella coalizione. I
sistemi elettorali non si scelgono, anzi non si dovrebbero scegliere,
sulla base della tattica del momento, anche perché le situazioni
contingenti possono essere rovesciate. Come è poi avvenuto. Adesso
per Sel continuare ad appoggiare il Mattarellum,
con una coalizione che non c'è e che potrebbe non esserci più per
molto, come si riconosce anche nei documenti congressuali, è
semplicemente autolesionistico. Con il Mattarellum,
Sel da sola non avrebbe alcuna possibilità di passare nel 75% del
maggioritario, e potrebbe conseguire rappresentanze solo nel 25%
proporzionale, naturalmente dividendo per quattro la percentuale dei
voti: con il 4% dei voti (un conto approssimativo, ponendo che non vi
sia sbarramento) avrebbe l'uno per cento dei seggi alla Camera, in
valore assoluto non più di sei. Al Senato ancora peggio. E allora
perché si continua a sostenere il Mattarellum?
L'unica risposta possibile fa pensare che una qualche componente del
partito ritenendo che Sel non possa andare oltre il ruolo del partito
satellite del Pd, un partito del tre per cento, punti sulla
coalizione con il Pd sempre e comunque e in quel caso il Mattarelluma
sarebbe assai utile. Sarebbe altra cosa dalla “buona politica"
quella che facesse accettare un sistema elettorale che ci costringe
alla coalizione per poi dire all'interno del partito, alzando le
spalle, "ma con questa legge elettorale non si può fare altro
che aderire ad una coalizione dominata dal Pd", chiunque sia il
segretario e quale la linea che questo si sceglie. Non sarebbe un
modo trasparente e lineare, e soprattutto sarebbe perdente per Sel.
Luoghi
comuni, opinioni approssimative, dogmi irrefutabili.
Tra
i luoghi comuni, ripetuti e ripetuti, e quindi per questo fatti
diventare veri, quasi dogmi irrefutabili c'è quello che vuole che il
proporzionale sia un sistema che riproponga inevitabilmente il
marasma finale da Prima repubblica, con annesso clientelismo, governi
deboli, e adesso larghe intese in eterno. Nessuna di queste
affermazioni regge ad un confronto con l'esperienza del passato e con
gli scenari possibili del futuro.
Con
il proporzionale, ben due elezioni politiche generali, quelle più
importanti perché miliari, produssero un effetto di
bipolarizzazione. Nel 1948 Dc e fronte popolare Pci-Psi si contesero
il voto popolare, con lo spostamento verso la prima di quote
consistenti di voto. Nel 1976 nuovamente, di fronte al rischio del
"sorpasso" del Pci sulla Dc, si riprodusse quella
bipolarizzazione, che portò il primo ai suoi massimi storici ma la
Dc a resistere prosciugando il voto dei suoi alleati. In ambedue i
casi la bipolarizzazione non fu di aiuto alla sinistra, si può
notare di sfuggita, ma si verificò anche con il proporzionale.
Il
proporzionale oggi non riprodurrebbe necessariamente le larghe
intese, fin qui prodotte insieme dalla situazione e dalla volontà
dei partiti più importanti, ed anche dalla tripolarizzazione del
sistema. Almeno, non più del maggioritario. Il Porcellum,
che ha aiutato a produrle, è solo nominalmente un sistema
proporzionale, e in molti punti funziona quasi come un maggioritario.
Il punto è che il proporzionale non è solo un unico sistema ma una
famiglia di leggi elettorali, con possibili varianti. Il
proporzionale "puro" di cui talvolta si parla non solo non
è mai esistito in Italia, ma è anche difficile da definire. Il
proporzionale si può correggere in molti modi, aggiungendo un premio
di maggioranza o di coalizione, incentivando la possibilità
dell'elettore di influenzare il proprio partito anche nell'urna, e lo
si può rendere capace di esprimere una coalizione e un governo
sufficientemente stabile.
La
scelta per il sistema proporzionale può e deve assumere la funzione
di segnale di svolta con il passato del dopo Prima repubblica, il
ventennio che, diversamente da quanto si voleva ottenere, non ha
liberato l'Italia dalla corruzione, dalla politica inamovibile, e
sopratutto non ha avviato un processo di cambiamento e di ricambio
nei confronti di quello che è apparso quasi un regime. Se oggi si
vuole perseguire il cambiamento, che è insieme lotta alle
diseguaglianze sociali e un nuovo modo di fare politica, se si vuole
innescare cioè una "rivoluzione democratica" sulle linee
della applicazione della nostra Costituzione, allora occorre una
scelta di coraggio e di inequivocabile rottura.
Un
proporzionale a doppio turno di coalizione, per esempio.
Tra
le molte possibili varianti, è utile sceglierne una, anche per
esemplificare e entrare nel concreto. Quello che viene descritto qui
di seguito è un proporzionale, corretto allo scopo di assicurare una
coalizione stabile, e quindi con essa una governabilità non
meccanica o coatta, o imposta. Non si usa il metodo classico del
premio di maggioranza, perchè questo, dopo la pronuncia della Corte,
potrebbe avere profili di incostituzionalità e anche perchè il
sistema qui congegnato può essere ancora più efficace senza avere
le controindicazioni del premio di maggioranza. Questo sistema si
caratterizza per dare il massimo possibile di potere di intervento al
singolo elettore, compresa una semplificazione che consente di vedere
attraverso il sistema per come esso funziona. Un terzo pregio di
questo sistema è che configura un modo di elezione del Parlamento
nel quale non ci sono avvantaggiati e svantaggiati. Questo in termini
concreti vuol dire che, se si lasciano i dogmi del bipolarimo dove
devono essere lasciati, non esiste forza politica che possa ravvisare
in questo sistema un motivo di pericolo per la sua rappresentatività.
Il che però vuol anche dire che, stante il livello di bassa
rappresentatività della attuali forze politiche dominanti, si
sentiranno tutte minacciate dal surplus di potere di intervento che
con questo sistema avrebbero gli elettori.
In
maniera un po’ inconsueta, descriverò questo sistema "dal
punto di vista dell'elettore" più che come insieme di regole
viste dal punto di vista sistemico. Questo per maggiore semplicità
espositiva, ma anche per sottolineare il ruolo di questo sistema
elettorale nel "restituire lo scettro al Principe", che
appunto in democrazia è il popolo sovrano e non altri.
L'elettore,
il giorno delle elezioni, ha una scheda per la Camera ed una per il
Senato. Mettiamo per un attimo da parte il Senato, il quale tra
l'altro è in predicato di una sostanziale riforma costituzionale.
Sulla scheda della Camera l'elettore vede le liste concorrenti di
ciascun partito o forza politica. Egli può scegliere una lista e
all'interno di questa un candidato (o due, purché con differenza di
genere).
Ma,
in una parte apposita della scheda, potrà scegliere anche una delle
coalizioni proposte attraverso il voto ad un "listino"
nazionale, scelto dalla coalizione, di 30 nomi, senza preferenze.
Con gli attuali numeri del Parlamento. e salvo loro diminuzione, 600
parlamentari sono eletti tramite le liste, 30 attraverso il listino
di coalizione.
E'
importante notare che il voto può anche essere disgiunto tra le
liste di partito e i listini di coalizione. Questi ultimi potrebbero
essere in numero minore, perché la “coalizionabilità” viene
premiata e alcuni partiti sono in una sola coalizione. L’elettore
può esercitare col voto tre poteri di scelta diversi. Primo, la
scelta della lista che lo rappresenta; secondo, la scelta dei
candidati che lo rappresentano (quindi può orientare la lista
scegliendo candidati più a destra o più a sinistra); terzo, la
scelta della coalizione che ritiene debba governare. A sua volta ogni
partito che presenta una lista deve presentare un programma, una
serie di candidati, e sopratutto una proposta di coalizione e di
governo. In altri termini ogni forza deve esprimere il massimo di
capacità rappresentativa (programma e candidati) e il massimo di
capacità di coalizione (ma anche di rifiuto di ogni coalizione).
Alla
fine della prima giornata di votazioni abbiamo sicuramente una Camera
eletta e completamente delineata nella sua parte rappresentativa, a
meno che uno dei listini di coalizione non raggiunga più del 50% dei
voti, e in tal caso sono eletti i 30 e non occorre il secondo turno,
perché c'è una forte maggioranza nella Camera. (Una variante
possibile potrebbe essere l'elezione di quel listino che ha preso più
voti e ha superato una soglia di quasi-maggioranza, il 45% dei voti,
ad esempio).
Ma
se, ipotesi più probabile, quella condizione non si verifica, due
settimane dopo ha luogo il secondo turno di votazione tra i soli
listini di coalizione. Il listino di coalizione che prende il maggior
numero dei voti anche senza superare il 50% prende tutti i 30 seggi e
questo determinerà una maggioranza sicura. In queste due settimane
le forze politiche possono tra di loro avviare trattative per
allargare le coalizioni, e i risultati di queste trattative devono
essere resi pubblici agli elettori, perché si orientino. In questo
intervallo tra le due giornate elettorali si esercita ancora la
capacità coalizionale di ciascuna forza politica. Le forze politiche
maggiori non disponendo automaticamente la vittoria da sole sono
incentivate a entrare in coalizione e si ha quindi una pulsione
centripeta e non centrifuga, che deve però essere esercitata, per
essere credibile, in trasparenza di fronte agli elettori, che su
quelle scelte possono esprimersi. Tra il primo e il secondo turno è
comunque possibile ritirare uno o più listini di coalizione, come
segno e conseguenza di un accordo programmatico che deve essere reso
pubblico ed ufficiale prima di ogni ritiro.
Le
settimane tra i due turni servono cioè a mettere insieme il codice
sorgente della nuova legislatura, che viene scritto open source, cioè
sotto gli occhi degli elettori e a loro viene in ultima analisi
sottoposto, e su questo possono intervenire. La procedura nel suo
insieme, data una certa situazione politica, produce il Parlamento
più coeso possibile. (Una provvida norma dovrebbe inoltre escludere
ogni nominativo dai simboli elettorali, come misura di pulizia
rispetto ai personalismi).
Al
Senato il listino sarà di 20 candidati, uno da ogni regione e
candidato nella lista di quella regione, anche se, in caso di doppia
elezione, dovrebbe rinunciare ad una delle due. Questo accorgimento
per evitare possibili profili di incostituzionalità rispetto alla
"base regionale" che la Costituzione prevede per il Senato.
Un
proporzionale con premio di coalizione rende sostanzialmente inutile
la presenza di una soglia minima (sbarramento) per accedere alla
rappresentanza, oppure può prevedere una soglia bassa (1,5%). La
dispersione che genera ingovernabilità è già scongiurata a monte.
Per evitare la frammentazione delle liste si può invece stabilire
criteri molto più rigorosi per la presentazione di liste, con
l'aumento sostanziale delle firme necessarie alla presentazione.
La
legge elettorale dovrà contenere al suo interno norme che
controllino le risorse elettorali a disposizione di ogni candidato, e
che, in un quadro di assenza di finanziamento pubblico, mettano un
tetto alle spese elettorali di ciascun candidato. Si dovrà
sanzionare il voto di scambio anche con la decadenza dalle cariche, e
si dovrà normare anche il numero di rinnovi dei mandati
rappresentativi, ponendo un limite di due ai mandati consecutivi.
Questo assicurerebbe ricambio, sottolineerebbe lo spirito di servizio
e non di carriera del mandato rappresentativo. Si dovrebbe introdurre
il criterio secondo il quale ogni candidato può presentarsi
candidato in un solo collegio e mai sia alla Camera che al Senato,
per evitare l’eccessivo peso della singole personalità.
Infine
si dovrebbe istituire un controllo di costituzionalità della legge
elettorale e delle sue modifiche con la previsione che ogni nuova
norma elettorale sia sottoposta d'ufficio alla Corte costituzionale,
in modo che sia sottratto alle forze politiche il totale arbitrio
sulla legge elettorale medesima e la tentazione di scrivere norme che
finiscano per conferire benefici a sé medesime e a danno degli
elettori.
Solo
un esempio o non anche una spinta per andare oltre il bipolarismo?
Il
sistema che abbiamo delineato ha caratteristiche di semplicità, di
scarsa manipolabilità, di riconsegna all’elettore della facoltà
di influire sulle scelte della politica che gli sono state sottratte
dal ceto politico sin dai tempi della cd Prima repubblica, quando una
struttura partitica sovrastava le espressioni della volontà
popolare, che nel dopo Prima repubblica, la cd Seconda (in realtà
mai nata) nella quale maggioritario prima e Porcellum
dopo hanno ulteriormente sottratto potere all’elettorato. Un
avvertimento conclusivo: nessuna legge elettorale è un toccasana che
produce sempre e comunque buoni risultati, che dipendono invece sia
dal modo con il quale i cittadini si esprimono ma anche dalle offerte
politiche dai programmi e dai contenuti che gli attori politici,
partiti e movimenti, propongono ed implementano. Una legge elettorale
è solo uno strumento di trasformazione delle volontà degli elettori
in rappresentanze politiche (parlamento, regioni, comuni) in grado di
recepire nel modo più ampio, cioè responsivo, le istanze dei
cittadini, del popolo, cui “appartiene la sovranità”, ma che può
esercitarla solo “nelle forme” previste dalla Costituzione. Se le
forme non sono adatte e congrue, non c’è nessuna sovranità
popolare, anzi ha luogo la sottrazione della sovranità popolare da
parte delle macchine organizzative delle oligarchie partitiche.
Questo sistema non ambisce ad essere il migliore, né vanta di non
essere migliorabile. E’ stato proposto come esempio concreto per
dimostrare che proporzionale e governabilità possono andare a
braccetto, anzi che la vera governabilità ha come presupposto quella
rappresentatività piena che solo un sistema proporzionale assicura.
Le alzate di scudi a favore del maggioritario come inattaccabile
dogma si rivelano, alla luce di quanto asserito qui, solo il
tentativo di occultare i disastri prodotti dal maggioritario nella
politica italiana nella migliore delle ipotesi, e di affermare sopra
la sovranità popolare a base democratica il dominio minoritario di
una alleanza tra oligarchie dentro il sistema politico e oligarchie
di potere fuori da esso, nella peggiore, ma certamente più
probabile, delle ipotesi.
Mauro
Stampacchia
21
dicembre 2013