domenica 24 novembre 2013

Intervento di Ettore Bucci al Congresso Federale SEL Pisa

Riceviamo e pubblichiamo l'intervento di Ettore Bucci al congresso federale di SEL Pisa, tenutosi il 22 e 23 novembre a Fornacette. L'intervento è pubblicato sul suo blog.

Nella sua relazione introduttiva, Dario Danti ha fatto un riferimento che condivido. Un riferimento che è importante per chi fa politica, per chi vive la politica quotidianamente. È il riferimento agli errori. Quelli collettivi, che vanno assunti e analizzati. Che fanno crescere e consentono a tutti di evitarne la ripetizione.
Intervenire nel dibattito congressuale significa evitare l'errore dell'auto-narrazione, della commiserazione, della retorica. Intervenire nel dibattito congressuale significa definire le finalità della nostra organizzazione per darci strumenti con cui arricchire il dibattito pubblico e politico, attraverso una relazione coerente con la fase storica.
“Il mondo e la sua rappresentanza è cambiata” ci ha detto il sindaco di Calcinaia nel suo intervento introduttivo. Trovo quest'espressione estremamente calzante con la nostra fase storica. Nel 1997, durante il congresso di un grande partito della sinistra storica e riformatrice, un altezzoso e presuntuoso dirigente assalì Sergio Cofferati e, con lui, la lotta politica e sociale di un sindacato sempre in campo per promuovere i diritti, mentre i riformisti europei declinavano verso la flexsecurity, verso la precarietà. 

“Rappresenteremo – diceva Massimo D'Alema - sempre di più soltanto un segmento del mondo del lavoro, quello che sta in mezzo, quelli che non sono sufficientemente professionalizzati per negoziare da soli, oppure in basso, quelli che vivono nel mondo del lavoro nero, non tutelato e precario”. 

Più di tre lustri dopo, è stata la rappresentanza politica a crollare, non certo la rappresentanza sociale.

Il crollo della rappresentanza politica non è solo legato all'emersione di un tasso sempre più alto di astensionismo. L'Italia, a differenza della massima parte delle nazioni dell'Europa e dell'Occidente, detiene ancora una percentuale consistente di cittadini che si recano alle urne. Gradualmente, tuttavia, si corre verso le affluenze tipiche degli altri Paesi Europei e del mondo anglosassone.
Il crollo della rappresentanza politica lo possiamo e lo dobbiamo leggere nel crollo della "rappresentanza tradizionale" espressa da quello che è, ormai, solo un orpello retorico: il centrosinistra. Campo democratico, area progressista, qualunque formula sia. 

Chi è e cosa rappresenta? 
Ce lo racconta Ilvo Diamanti nella sua analisi della composizione socio-professionale del voto 2013, fornita da Demos.it su dati raccolti dall'Università di Urbino. Scopriamo così che le categorie che il "centrosinistra" rappresenta peggio sono gli operai (Movimento5Stelle 40%, Centrodestra 25,8%), lavoratori autonomi (M5S 40,2%, Cdx 34,6%), disoccupati (M5S 42,7%, Cdx 23,7%). Le categorie rappresentate un po' meglio sono i liberi professionisti (M5S 31,3%, Centrosinistra 29,6%), studenti (M5S 29,1%, Csx 27,4%), casalinghe (Cdx 43,3%, Csx 24,6%). Il centrosinistra rappresenta bene, pertanto, i funzionari (Csx 32,4%, M5S 27,1%) e pensionati (Csx 39,5%, Cdx 32,3%).

Cosa ci raccontano questi dati? Che il punto non è l'alternativa fra partito leggero e pesante, personale e impersonale. La questione è rappresentare politicamente qualcosa e qualcuno. Essere di parte, ma per tutti. La questione è che non possiamo rinchiuderci negli schematismi, rivendicare la "speranza del centrosinistra" non avendo neanche l'accortezza di riempire questa formula di un contenuto politico di trasformazione, fondato sull'alleanza con pezzi sociali impegnati sul campo del cambiamento.

Chiedeva giustamente Dario, nella sua relazione: le insorgenze si rappresentano in politica? Non ho la pretesa della verità in tasca, ma tre racconti dei nostri giorni possono dimostrare che se la politica si paralizza e sceglie la subordinazione -alla tecnica, al politicismo che sceglie la riproduzione delle classi dirigenti, ai poteri economici più forti- allora le insorgenze, certamente,possono rappresentarsi in politica. Diversamente, a seconda di quello che offre il contesto.

La Grecia. L'auto-rappresentazione dell'insorgenza è, per nostra fortuna, l'alternativa governante sancita dalla coalizione di forze in rivolta costituitasi in partito. Syriza, che con Alexis Tsipras dobbiamo guardare con intelligenza e rispetto.
La Francia. Malgrado le buone azioni del governo socialista e del nostro compagno François Hollande, il disagio e la rabbia sociale si scatena in una rinnovata e perimetrale esigenza di sovranità, che è colta da Marine Le Pen e dal Fronte Nazionale, mai così pericoloso come in questi anni. Di fronte agli euro-populisti di chiaro stampo fascista, è necessario affermare i valori dell'Europa sociale e dichiarare lo smantellamento delle tecnocrazie, politicizzando la commissione europea e impostando un governo politico dell'economia continentale, col PSE e con Martin Shulz. Perché non si va nel PSE immaginandosi una replica del "centrosinistra": non avremmo capito nulla dell'Europa.
Messina. Renato Accorinti, opponendosi con genuina bellezza al candidato dei democratici e dei centristi e canalizzando l'esigenza di trasformazione dei suoi concittadini, ha costruito l'alternativa governante con cui, adesso, Sinistra Ecologia e Libertà collabora.

Quale ruolo ha un partito, in questo contesto?
Quello della rappresentazione politica.
C'è bisogno di sinistra, direbbe Renzo Ulivieri?
Si, se rispondiamo alla condizione dell'autonomia.

La rappresentazione politica, nella mia vita, è frutto di due culture.
La cultura del governo. Ossia della consapevolezza della complessità.
La neghiamo, fra di noi, ogni volta che guardiamo con preconcetti il compagno che sale sul palco per proporre un contributo. 
La rilanciamo quanto torniamo a ribadire pratiche di apertura e di coinvolgimento collettivo, come con la proposta -che condivido- di un'assemblea programmatica verso le elezioni amministrative 2014.

La cultura dell'organizzazione. Ossia dell'esigenza di unmetodo.
La neghiamo tutte le volte che riduciamo l'esigenza di un partito a un feticcio da esibire in maniera minoritaria o come una bandiera disposta a soggiacere senza fondarsi sull'autonomia.
La rilanciamo tutte le volte che diamo forma a strumenti nuovi di democrazia interna, come con la centralità dei circoli cittadini, dei forum tematici e di amministratori, della consultazione diretta degli iscritti e delle iscritte, come proposto dai compagni del Circolo di San Miniato.

L'autonomia politica della sinistra. Un elemento da promuovere, se non lo facciamo con l'ansia di cadere nell'autismo. Un seme destinato a morire senza dar frutto, se non viene analizzato e impostato correttamente.
Ho condiviso e condivido col compagno Alessio Bellini una certa attenzione verso Mario Tronti, che credo abbia dato una delle migliori definizioni di questo elemento:

"Quando la politica si autonomizza corre il rischio dell'autoreferenzialità. Un rischio da correre. La crisi della politica di oggi non è per troppa autonomia, ma per troppo poca. Lo statuto autonomo della politica non viene contestato dai poteri forti, ma dai poteri deboli, l'opinione diffusa, il senso comune di massa, l'ideologia della società civile. La politica va in crisi quando non riesce a esercitare il suo primato e non riesce a esercitare il suo primato quando non ha la forza della sua autonomia".

Buon viaggio a tutte e tutti.

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