sabato 21 dicembre 2013

Manipolare la politica. (2nda parte) di Mauro Stampacchia

Questa è la seconda ed ultima parte dell'intervento dal titolo: "Manipolare la politica" di cui una prima parte è già stata pubblicata diversi giorni fa sul blog

Proporzionalismo e governabilità

Bipolarismo o morte”?
Il bipolarismo, malgrado abbia, come si è visto, dimostrato un rendimento, nella migliore delle ipotesi, del tutto al di sotto delle aspettative, viene oggi rilanciato come discriminante politica, quasi dogma inattaccabile, con argomentazioni facili, quanto fallaci. Il vincitore delle primarie del Pd e attuale segretario Matteo Renzi lo ha infilato nel suo programma più urgente, lo stesso Romano Prodi, personalità di diversa caratura, ha detto di aver cambiato idea sulla partecipazione alle primarie per il rischio che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, il bipolarismo correva (e davvero che un esponente del progressismo storico stia a paventare rischi provenienti dalla Corte Costituzionale suscita considerazioni amare sul progressismo italiano e sul suo costituzionalismo). Infine, anche la più alta carica dello Stato ha una volta di più derogato alla sua funzione super partes per schierarsi a favore del maggioritario e del bipolarismo.
Il realtà, se si guarda al recente passato, Il bipolarismo ha consegnato alla politica italiana un tasso di governabilità molto carente, una rappresentanza distorta, e una reale incapacità di servire come strumento di alternativa politica. Anzi ha reso più divisiva la politica italiana, consentendo il dominio politico di una parte (minoritaria) su tutto il resto. Bisogna infatti distinguere la capacità di individuare un vincitore designato (questo il bipolarismo lo fa) dalla governabilità, che è un concetto assai più complesso che implica che il governo designato sia poi capace di governare una società che invece il bipolarismo rende così divisa da non essere governabile con un tasso di consenso accettabile e condiviso, solo presupposto di una vera governabilità.
Sistema bipolare, tripolare o multipolare?
Dopo le ultime elezioni, con l'esplosione elettorale del M5stelle, e in precedenza con la nascita di una forza come Scelta Civica, di minor successo nelle urne, il sistema è diventato, inevitabilmente, almeno tripolare, come osserva tra gli altri un politologo come Piero Ignazi. E in letteratura è noto che una legge elettorale maggioritaria funziona accettabilmente in presenza di due poli e conserva il bipolarismo, ma quando si trova di fronte a tre poli, non riesce più a funzionare con la stessa efficacia e genera effetti gravemente distorsivi, tra l'altro di vario tipo. Un esempio viene dalla patria stessa del sistema maggioritario, l'Inghilterra, dove il partito terzo, i liberaldemocratici, sono sottorappresentati, e dove è comunque necessaria una trattativa post elettorale per arrivare ad una alleanza di governo che il voto di per sé non determina. Oggi conservatori e liberaldemocratici hanno stipulato una “intesa” e i laburisti sono all’opposizione.
In presenza di tre poli, con un maggioritario si possono verificare altre due ipotesi. La prima, più estrema, secondo la quale uno dei tre poli non trova rappresentanza alcuna. E' un caso piuttosto difficile, ma genera comunque, se si verifica, una caduta del tasso di rappresentanza perchè nessuno sbocco istituzionale viene dato a chi raccoglie tra il 20 e il 30 per cento del voto (8 milioni e passa nelle ultime elezioni da parte del M5S). E' una ipotesi estrema ma non impossibile, e non può essere considerata in alcun modo una conseguenza positiva, in democrazia essendo l’inclusività un valore irrinunciabile e che la esclusione di forze presenti consistentemente nella opinione pubblica deve essere considerata un danno da evitare in tutti i modi.
La seconda ipotesi è ancora più negativa anche se più probabile. In uno dei collegi maggioritari (il 75% del Mattarellum) il Centrodestra potrebbe battere il Centrosinistra perché il M5S sottrae voti a quest'ultimo, in un altro invece anche per pochi voti il Movimento Cinque stelle prevale sugli altri due. In un terzo ancora la soluzione va in un altro senso ancora. In una parola, un esito a macchia di leopardo e molto legato al caso, che a livello nazionale disegna equilibri incerti e legati al caso, un “effetto lotteria" amplificato dal sistema maggioritario. Con il 30% dei voti potrebbe uscire una maggioranza schiacciante del 70% di seggi. In questa seconda ipotesi l'introduzione del ballottaggio di secondo turno (alla francese) che si vorrebbe proprio per eliminare questo effetto in realtà lo aggrava. Si potrebbero verificare ballottaggi tra Centrodestra e Terzo polo, anche per un distacco di pochissimi voti, o tra Terzo polo e Centrosinistra, e non solo tra Centrodestra e Centrosinistra. (Il doppio turno alla francese verrebbe però corretto all’italiana. Mentre in Francia accedono al ballottaggio tutte quelle forze che ottengono in ogni collegio più del 12,5% la correzione italiana ammetterebbe solo i primi due).
C’è poi un terzo sistema che appare caro a Matteo Renzi, ed è la trasposizione a livello nazionale del sistema di elezione del sindaco. Ma questo, è noto, è palesemente incostituzionale perché sottrae al Presidente della Repubblica la sua funzione di selezione del presidente del consiglio incaricato. Ed ha, oltre a questo, una serie di problemini non secondari, perché avrebbe bisogno di un collegio nazionale. Comunque sarebbe un sistema a doppio turno, nel quale il ballottaggio riguarda però adesso il sindaco, domani il presidente del consiglio, quindi la trasformazione della nostra Repubblica da parlamentare in presidenziale.
Quando le squadre si scelgono le regole.
Nel giudizio che si da sui sistemi elettorali pesano criteri che si rifanno ai benefici che essi apportano, o si ritiene che apportino, avendo riguardo all'interesse comune, cioè al buon funzionamento del sistema politico. I sistemi elettorali però non sono scelti da un organo esterno alla competizione, ma dagli stessi attori della competizione. Per dirla con una metafora calcistica: le squadre di calcio che scendono in campo si trovano di fronte delle regole già definite che non possono essere da loro modificate, in special modo in corso di partita. Le squadre politiche invece scendono in campo e hanno la possibilità di approvare le regole di gioco, ed è inevitabile che su questa approvazione pesi anche, e forse sopratutto, il vantaggio che l'uno o l'altro sistema elettorale reca al proprio schieramento politico. Quindi le valutazioni delle forze politiche sui sistemi elettorali vanno lette non in astratto e riferite al l’interesse comune, ma anche come spie delle attese dei benefici a sé stesse, che le forze politiche ripongono nella adozione di questo o di quel sistema.
Dopo la sentenza della Corte che bolla il Porcellum come in conflitto per molte parti con la Costituzione, molte voci, anche da schieramenti diversi, si sono pronunciate a favore del Mattarellum. In qualche caso queste posizioni sono parte di una schermaglia rivolta a posizionarsi in qualche modo nel dibattito sul nuovo sistema, ma sono in qualche caso anche rivelatrici delle caratteristiche della legge elettorale che si propugna. A favore del Mattarellum si è pronunciato, ad esempio, Berlusconi, il quale, avendo aperto con forze di centro destra un livello di competizione, si accorge che così verrà favorito contro queste, e quindi minaccia di correre da solo nei collegi uninominali, così bloccando la rappresentanza di questi suoi "cespugli". Egli sa che l'elettore di centrodestra voterà, stante i rapporti di forza, per i suoi uomini. E il suo nuovo competitor Alfano sembra invece schierarsi per il doppio turno alla francese modificato, che gli darebbe più spazio, al primo turno potendo strappare percentuali minori di Forza Italia ma decisive poi ai fini del risultato del secondo turno. E' un tipico esempio di manipolazione della rappresentanza attraverso i sistemi elettorali. E di lotta politica attraverso l'uso dei sistemi elettorali.
Il sistema dei collegi uninominali, gran parte del Mattarellum, è comunque vantaggioso per il Pd, perché nel modo già visto per il centrodestra il Pd avrebbe un controllo dei collegi rispetto ai suoi alleati di centrosinistra. In realtà il sistema più conveniente al Pd è il doppio turno alla francese modificato, perchè così può legare a sé potenziali alleati, rimanendo però, in virtù della propria rendita di posizione, dominus e favorito sullo schieramento di centrosinistra.
Pure Grillo si è detto favorevole al Mattarellum, perché consente a lui di giocare il tutto per tutto in vista del progetto (assai improbabile) di ottenere il cinquantuno per cento ma intanto con il più probabile risultato di aggiudicarsi molti collegi così da poter di nuovo costringere questi alle larghe intese, e lui prosperare.
Sinistra e Mattarellum. Si giochi a carte scoperte.
Quelle che rimane incomprensibile invece è l'appoggio al Mattarellum quando viene dalla sinistra. La sinistra italiana sulla scorta del modello costituzionale ha sempre (e giustamente) scelto il proporzionale come sistema di riferimento, principio cardine della democrazia. Con il proporzionale gli organi elettivi sono lo specchio della società, o almeno si avvicinano ad essa quanto una democrazia rappresentativa può avvicinarsi ai propri rappresentati. Un sistema maggioritario condanna la sinistra alla irrilevanza politica sbarrando ad essa la strada del parlamento, impedendole di interagire con altri settori della politica, portandola all'isolamento e al solo ruolo di testimonianza. Colpisce quindi l'allontanamento della forza che più rappresenta la sinistra che rimane, Sinistra Ecologia e Libertà, da questa linea. Quando si pose, sul finire della scorsa legislatura, la questione dei due referendum elettorali Sel decise di lasciare al proprio destino il referendum Passigli (che avrebbe determinato una modifica del Porcellum simile a quella poi determinata dalla Corte, quindi al proporzionale) e di sposare quello di Parisi che puntava all'abrogazione in toto del Porcellum, nella speranza, rivelatasi poi, come prevedibile, infondata, di tornare alla legge precedente, appunto il Mattarellum. La Corte non ammise quel referendum proprio perché ritenne che avrebbe causato un vuoto legislativo gravissimo (stare senza legge elettorale equivale a rendere impossibili le elezioni).
A quell'epoca, quando già Sel aveva gettato le basi della coalizione che poi si chiamerà Italia Bene Comune, poi miseramente naufragata malgrado la vittoria elettorale, questa scelta poteva essere spiegata come un modo per rafforzare la posizione di Sel nella coalizione. I sistemi elettorali non si scelgono, anzi non si dovrebbero scegliere, sulla base della tattica del momento, anche perché le situazioni contingenti possono essere rovesciate. Come è poi avvenuto. Adesso per Sel continuare ad appoggiare il Mattarellum, con una coalizione che non c'è e che potrebbe non esserci più per molto, come si riconosce anche nei documenti congressuali, è semplicemente autolesionistico. Con il Mattarellum, Sel da sola non avrebbe alcuna possibilità di passare nel 75% del maggioritario, e potrebbe conseguire rappresentanze solo nel 25% proporzionale, naturalmente dividendo per quattro la percentuale dei voti: con il 4% dei voti (un conto approssimativo, ponendo che non vi sia sbarramento) avrebbe l'uno per cento dei seggi alla Camera, in valore assoluto non più di sei. Al Senato ancora peggio. E allora perché si continua a sostenere il Mattarellum? L'unica risposta possibile fa pensare che una qualche componente del partito ritenendo che Sel non possa andare oltre il ruolo del partito satellite del Pd, un partito del tre per cento, punti sulla coalizione con il Pd sempre e comunque e in quel caso il Mattarelluma sarebbe assai utile. Sarebbe altra cosa dalla “buona politica" quella che facesse accettare un sistema elettorale che ci costringe alla coalizione per poi dire all'interno del partito, alzando le spalle, "ma con questa legge elettorale non si può fare altro che aderire ad una coalizione dominata dal Pd", chiunque sia il segretario e quale la linea che questo si sceglie. Non sarebbe un modo trasparente e lineare, e soprattutto sarebbe perdente per Sel.
Luoghi comuni, opinioni approssimative, dogmi irrefutabili.
Tra i luoghi comuni, ripetuti e ripetuti, e quindi per questo fatti diventare veri, quasi dogmi irrefutabili c'è quello che vuole che il proporzionale sia un sistema che riproponga inevitabilmente il marasma finale da Prima repubblica, con annesso clientelismo, governi deboli, e adesso larghe intese in eterno. Nessuna di queste affermazioni regge ad un confronto con l'esperienza del passato e con gli scenari possibili del futuro.
Con il proporzionale, ben due elezioni politiche generali, quelle più importanti perché miliari, produssero un effetto di bipolarizzazione. Nel 1948 Dc e fronte popolare Pci-Psi si contesero il voto popolare, con lo spostamento verso la prima di quote consistenti di voto. Nel 1976 nuovamente, di fronte al rischio del "sorpasso" del Pci sulla Dc, si riprodusse quella bipolarizzazione, che portò il primo ai suoi massimi storici ma la Dc a resistere prosciugando il voto dei suoi alleati. In ambedue i casi la bipolarizzazione non fu di aiuto alla sinistra, si può notare di sfuggita, ma si verificò anche con il proporzionale.
Il proporzionale oggi non riprodurrebbe necessariamente le larghe intese, fin qui prodotte insieme dalla situazione e dalla volontà dei partiti più importanti, ed anche dalla tripolarizzazione del sistema. Almeno, non più del maggioritario. Il Porcellum, che ha aiutato a produrle, è solo nominalmente un sistema proporzionale, e in molti punti funziona quasi come un maggioritario. Il punto è che il proporzionale non è solo un unico sistema ma una famiglia di leggi elettorali, con possibili varianti. Il proporzionale "puro" di cui talvolta si parla non solo non è mai esistito in Italia, ma è anche difficile da definire. Il proporzionale si può correggere in molti modi, aggiungendo un premio di maggioranza o di coalizione, incentivando la possibilità dell'elettore di influenzare il proprio partito anche nell'urna, e lo si può rendere capace di esprimere una coalizione e un governo sufficientemente stabile.
La scelta per il sistema proporzionale può e deve assumere la funzione di segnale di svolta con il passato del dopo Prima repubblica, il ventennio che, diversamente da quanto si voleva ottenere, non ha liberato l'Italia dalla corruzione, dalla politica inamovibile, e sopratutto non ha avviato un processo di cambiamento e di ricambio nei confronti di quello che è apparso quasi un regime. Se oggi si vuole perseguire il cambiamento, che è insieme lotta alle diseguaglianze sociali e un nuovo modo di fare politica, se si vuole innescare cioè una "rivoluzione democratica" sulle linee della applicazione della nostra Costituzione, allora occorre una scelta di coraggio e di inequivocabile rottura.
Un proporzionale a doppio turno di coalizione, per esempio.
Tra le molte possibili varianti, è utile sceglierne una, anche per esemplificare e entrare nel concreto. Quello che viene descritto qui di seguito è un proporzionale, corretto allo scopo di assicurare una coalizione stabile, e quindi con essa una governabilità non meccanica o coatta, o imposta. Non si usa il metodo classico del premio di maggioranza, perchè questo, dopo la pronuncia della Corte, potrebbe avere profili di incostituzionalità e anche perchè il sistema qui congegnato può essere ancora più efficace senza avere le controindicazioni del premio di maggioranza. Questo sistema si caratterizza per dare il massimo possibile di potere di intervento al singolo elettore, compresa una semplificazione che consente di vedere attraverso il sistema per come esso funziona. Un terzo pregio di questo sistema è che configura un modo di elezione del Parlamento nel quale non ci sono avvantaggiati e svantaggiati. Questo in termini concreti vuol dire che, se si lasciano i dogmi del bipolarimo dove devono essere lasciati, non esiste forza politica che possa ravvisare in questo sistema un motivo di pericolo per la sua rappresentatività. Il che però vuol anche dire che, stante il livello di bassa rappresentatività della attuali forze politiche dominanti, si sentiranno tutte minacciate dal surplus di potere di intervento che con questo sistema avrebbero gli elettori.
In maniera un po’ inconsueta, descriverò questo sistema "dal punto di vista dell'elettore" più che come insieme di regole viste dal punto di vista sistemico. Questo per maggiore semplicità espositiva, ma anche per sottolineare il ruolo di questo sistema elettorale nel "restituire lo scettro al Principe", che appunto in democrazia è il popolo sovrano e non altri.
L'elettore, il giorno delle elezioni, ha una scheda per la Camera ed una per il Senato. Mettiamo per un attimo da parte il Senato, il quale tra l'altro è in predicato di una sostanziale riforma costituzionale. Sulla scheda della Camera l'elettore vede le liste concorrenti di ciascun partito o forza politica. Egli può scegliere una lista e all'interno di questa un candidato (o due, purché con differenza di genere).
Ma, in una parte apposita della scheda, potrà scegliere anche una delle coalizioni proposte attraverso il voto ad un "listino" nazionale, scelto dalla coalizione, di 30 nomi, senza preferenze. Con gli attuali numeri del Parlamento. e salvo loro diminuzione, 600 parlamentari sono eletti tramite le liste, 30 attraverso il listino di coalizione.
E' importante notare che il voto può anche essere disgiunto tra le liste di partito e i listini di coalizione. Questi ultimi potrebbero essere in numero minore, perché la “coalizionabilità” viene premiata e alcuni partiti sono in una sola coalizione. L’elettore può esercitare col voto tre poteri di scelta diversi. Primo, la scelta della lista che lo rappresenta; secondo, la scelta dei candidati che lo rappresentano (quindi può orientare la lista scegliendo candidati più a destra o più a sinistra); terzo, la scelta della coalizione che ritiene debba governare. A sua volta ogni partito che presenta una lista deve presentare un programma, una serie di candidati, e sopratutto una proposta di coalizione e di governo. In altri termini ogni forza deve esprimere il massimo di capacità rappresentativa (programma e candidati) e il massimo di capacità di coalizione (ma anche di rifiuto di ogni coalizione).
Alla fine della prima giornata di votazioni abbiamo sicuramente una Camera eletta e completamente delineata nella sua parte rappresentativa, a meno che uno dei listini di coalizione non raggiunga più del 50% dei voti, e in tal caso sono eletti i 30 e non occorre il secondo turno, perché c'è una forte maggioranza nella Camera. (Una variante possibile potrebbe essere l'elezione di quel listino che ha preso più voti e ha superato una soglia di quasi-maggioranza, il 45% dei voti, ad esempio).
Ma se, ipotesi più probabile, quella condizione non si verifica, due settimane dopo ha luogo il secondo turno di votazione tra i soli listini di coalizione. Il listino di coalizione che prende il maggior numero dei voti anche senza superare il 50% prende tutti i 30 seggi e questo determinerà una maggioranza sicura. In queste due settimane le forze politiche possono tra di loro avviare trattative per allargare le coalizioni, e i risultati di queste trattative devono essere resi pubblici agli elettori, perché si orientino. In questo intervallo tra le due giornate elettorali si esercita ancora la capacità coalizionale di ciascuna forza politica. Le forze politiche maggiori non disponendo automaticamente la vittoria da sole sono incentivate a entrare in coalizione e si ha quindi una pulsione centripeta e non centrifuga, che deve però essere esercitata, per essere credibile, in trasparenza di fronte agli elettori, che su quelle scelte possono esprimersi. Tra il primo e il secondo turno è comunque possibile ritirare uno o più listini di coalizione, come segno e conseguenza di un accordo programmatico che deve essere reso pubblico ed ufficiale prima di ogni ritiro.
Le settimane tra i due turni servono cioè a mettere insieme il codice sorgente della nuova legislatura, che viene scritto open source, cioè sotto gli occhi degli elettori e a loro viene in ultima analisi sottoposto, e su questo possono intervenire. La procedura nel suo insieme, data una certa situazione politica, produce il Parlamento più coeso possibile. (Una provvida norma dovrebbe inoltre escludere ogni nominativo dai simboli elettorali, come misura di pulizia rispetto ai personalismi).
Al Senato il listino sarà di 20 candidati, uno da ogni regione e candidato nella lista di quella regione, anche se, in caso di doppia elezione, dovrebbe rinunciare ad una delle due. Questo accorgimento per evitare possibili profili di incostituzionalità rispetto alla "base regionale" che la Costituzione prevede per il Senato.
Un proporzionale con premio di coalizione rende sostanzialmente inutile la presenza di una soglia minima (sbarramento) per accedere alla rappresentanza, oppure può prevedere una soglia bassa (1,5%). La dispersione che genera ingovernabilità è già scongiurata a monte. Per evitare la frammentazione delle liste si può invece stabilire criteri molto più rigorosi per la presentazione di liste, con l'aumento sostanziale delle firme necessarie alla presentazione.
La legge elettorale dovrà contenere al suo interno norme che controllino le risorse elettorali a disposizione di ogni candidato, e che, in un quadro di assenza di finanziamento pubblico, mettano un tetto alle spese elettorali di ciascun candidato. Si dovrà sanzionare il voto di scambio anche con la decadenza dalle cariche, e si dovrà normare anche il numero di rinnovi dei mandati rappresentativi, ponendo un limite di due ai mandati consecutivi. Questo assicurerebbe ricambio, sottolineerebbe lo spirito di servizio e non di carriera del mandato rappresentativo. Si dovrebbe introdurre il criterio secondo il quale ogni candidato può presentarsi candidato in un solo collegio e mai sia alla Camera che al Senato, per evitare l’eccessivo peso della singole personalità.
Infine si dovrebbe istituire un controllo di costituzionalità della legge elettorale e delle sue modifiche con la previsione che ogni nuova norma elettorale sia sottoposta d'ufficio alla Corte costituzionale, in modo che sia sottratto alle forze politiche il totale arbitrio sulla legge elettorale medesima e la tentazione di scrivere norme che finiscano per conferire benefici a sé medesime e a danno degli elettori.
Solo un esempio o non anche una spinta per andare oltre il bipolarismo?
Il sistema che abbiamo delineato ha caratteristiche di semplicità, di scarsa manipolabilità, di riconsegna all’elettore della facoltà di influire sulle scelte della politica che gli sono state sottratte dal ceto politico sin dai tempi della cd Prima repubblica, quando una struttura partitica sovrastava le espressioni della volontà popolare, che nel dopo Prima repubblica, la cd Seconda (in realtà mai nata) nella quale maggioritario prima e Porcellum dopo hanno ulteriormente sottratto potere all’elettorato. Un avvertimento conclusivo: nessuna legge elettorale è un toccasana che produce sempre e comunque buoni risultati, che dipendono invece sia dal modo con il quale i cittadini si esprimono ma anche dalle offerte politiche dai programmi e dai contenuti che gli attori politici, partiti e movimenti, propongono ed implementano. Una legge elettorale è solo uno strumento di trasformazione delle volontà degli elettori in rappresentanze politiche (parlamento, regioni, comuni) in grado di recepire nel modo più ampio, cioè responsivo, le istanze dei cittadini, del popolo, cui “appartiene la sovranità”, ma che può esercitarla solo “nelle forme” previste dalla Costituzione. Se le forme non sono adatte e congrue, non c’è nessuna sovranità popolare, anzi ha luogo la sottrazione della sovranità popolare da parte delle macchine organizzative delle oligarchie partitiche. Questo sistema non ambisce ad essere il migliore, né vanta di non essere migliorabile. E’ stato proposto come esempio concreto per dimostrare che proporzionale e governabilità possono andare a braccetto, anzi che la vera governabilità ha come presupposto quella rappresentatività piena che solo un sistema proporzionale assicura. Le alzate di scudi a favore del maggioritario come inattaccabile dogma si rivelano, alla luce di quanto asserito qui, solo il tentativo di occultare i disastri prodotti dal maggioritario nella politica italiana nella migliore delle ipotesi, e di affermare sopra la sovranità popolare a base democratica il dominio minoritario di una alleanza tra oligarchie dentro il sistema politico e oligarchie di potere fuori da esso, nella peggiore, ma certamente più probabile, delle ipotesi.
Mauro Stampacchia
21 dicembre 2013



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