martedì 10 dicembre 2013

Veniamo da lontano ma non sappiamo dove andare [di Fabiano Corsini]

Di Fabiano Corsini

Quando nel 1991 nacque il PDS, io fui tra quelli che lo salutarono entusiasti. Ero nel PCI da sempre, ma non volli l'ultima tessera. La passione dei comunisti italiani per Gorbaciov mi era parsa tiepida e ambivalente. Glasnost e Perestroika parevano fatti che riguardavano l'Unione Sovietica, mentre tutto cambiava quando si arrivava all'Italia, dove niente si doveva muovere. 

Avevo frequentato e continuai a frequentare gli apparati. Ma nei miei studi giovanili c'erano stati Pareto e Habermas, nelle mie passioni Rosa Luxembourg e i marinai di Kronstadt. Insomma diffidavo, e diffido, della vischiosità delle organizzazioni e mi fanno paura i guardiani dell'ortodossia che sempre le organizzazioni fanno crescere e prediligono. In quegli anni io ero riformista, forse lo sono ancora. Certo che la parola oggi è molto compromessa. L'Italia avrebbe dovuto “liberalizzare” molte cose, buttare già molte incrostazioni corporative. Alcune di queste erano cresciute accanto ai movimenti, escrescenze parassitarie che si erano saldate con gli apparati del nostro partito. Sintomatico l'atteggiamento nei confronti delle esternalizzazioni di alcune attività degli enti pubblici. La maggioranza, gli ortodossi, si dicevano contrarissimi. 

Per questo schifavano indignati le proposte di governare i processi, che pure andavano avanti impetuosamente, di privatizzazione di servizi. Loro erano contrari, e dunque, nel partito e nel sindacato, nessuno prestò attenzione alla montagna di elaborazioni che, pur a sinistra venivano prodotte. Questo era l'atteggiamento ufficiale. In concreto, i nostri amministratori in quegli anni esternalizzavano tutto, senza governare nulla. La povertà degli strumenti utilizzati per quella fase delicatissima di transizione, era surrogata da una pratica per cui si creavano strutture parallele, autentici fortini dove piazzare compagni e persone fidate, centri di potere sottratti a ogni tipo di serio controllo democratico. Tutto il resto, o almeno molto altro, dagli enti pubblici transitava verso il privato, senza nessuna forma di controllo, senza che si definissero contratti di servizio degni di questo nome. 

In materia di lavoro la miopia degli apparati fu drammatica. Formalmente contro ogni tipo di flessibilità, tanto che uno come Tarantellli (che aveva la tessera dalla CGIL) era costretto a lavorare per la CISL, si mettevano in atto le peggiori forme di precarizzazione, in concreto con le cooperative, poi con leggi che precarizzavano tutto senza introdurre niente che rendesse più forti i lavoratori alle prese con la flessibilità. Ancora oggi non abbiamo reddito di cittadinanza e una componente di sinistra che ha ancora una certa forza (si fa per dire) sostiene di essere contraria in nome del diritto al lavoro. Apparentemente ortodossi e duri, il vecchio gruppo dirigente si adeguò alla disfatta di Gorbaciov mettendo al sicuro sé stesso e portando il cervello dalla parte di qua del muro: lo ammettessero o no (ma poi cominciarono tutti ad ammetterlo con entusiasmo) tutti furono conquistati della ideologia del mercato, in nome della modernità e del realismo.

Mi piacque Occhetto, assecondai senza entusiasmo anche Veltroni. Mi parevano, a sinistra, il male minore. Occhetto e Veltroni furono travolti; ma non da sinistra, semplicemente dalla forza degli apparati e della conservazione. In nome di un “comunismo” mai praticato ma solo interiormente evocato, di una “rinascita” non più auspicata pensando a grandi ideali, ma solo in ragione di una antico ricordo di “diversità”, che fosse morale, ideale o identitaria poco importa.

In questi anni la vecchia talpa, nel mondo, ha continuato a scavare. Il pensiero critico non si è tacitato. Economisti, filosofi, sociologi: la ribellione nei confronti del pensiero unico è entrata non solo nelle accademie e sulle riviste, ma anche nei centri studi, nelle istituzioni mondiali. Ci sono grandi movimenti, che qui si preferisce deridere, che mettono in discussione il mito della crescita; la preoccupazione per le sorti del pianeta si intreccia con quelle per le grandi ingiustizie, per la tragedia della fame, della sete, della povertà. Il pensiero critico riacquista credibilità, agita le coscienze, muove i popoli. Da noi arriva per la via della Chiesa, mentre i nostri giocano con la green economy e fanno affari con i voucher delle energie alternative. E' una battutaccia, per dire che la nostra sinistra è rimasta isolata e arretrata, sostanzialmente muta.

I risultati delle primarie sono il risultato di tutto questo. La sinistra , quel gruppo dirigente che veniva dal PCI e che negli ultimi mesi ha finalmente pensato di organizzarsi per resistere a Renzi, ha ingaggiato una battaglia portando in dote questa sua sostanziale ambiguità. Veniamo da lontano, ma non sappiamo dove andare, hanno detto. Come potevano vincere?

Non riesco a dare a Renzi l'apertura che riservai a Veltroni. Forse proprio perché ho capitalizzato quella delusione. Non posso aspettarmi che uno che non è di sinistra faccia il miracolo di ridare la vita ad un morto. Ma non sono nemmeno cieco nel pregiudizio: credo nelle persone, credo che la storia non sia finita e non finisce con il pensiero unico. Il partito è fatto di tanta gente che continua a pensare e ad agire. In tutti questi anni, una cappa vischiosa di ideologia e di potere ci ha imbrigliati tutti. Non è detto che ora le cose siano diventate più difficili.

4 commenti:

  1. Bel pezzo, da leggere con molta attenzione.

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    1. A sentire questo sopra tutti dovremmo credere che il movimento di Sinistra in Italia sia stato solo e soltanto quello Comunista. Non è così. Infatti oggi ha Vinto Renzi. La Sinistra Italiana viene da lontano e sa benissimo dove andare. Lo ha sempre saputo. Sono i Comunisti che non lo sanno più. Infatti hanno perso gli appuntamenti con la storia dell'ultimo ventennio. Frange pericolose oggi imperversano per il paese e chi si sente davvero portatore di buoni valori dovrebbe cominciare a riflettere invece di stare a fare proclami e a costruire rivincite che ormai non ci saranno più.

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  2. non rivendico alcuna esclusività e neppure un primato per i comunisti, che del resto cito solo in modo critico ( un po come "sedicenti comunisti", riferito a quelli che vengono dal PCI). Mi è anche lontana la logica dei proclami, nè penso a rivincite , che del resto presuppongono vittorie che non ci sono mai state. Spero che il secondo anonimo sia un'altra persona dal primo, e spero anche che chi commenta abbia letto quello che ho scritto.

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  3. Le filosofie sono una cosa, i partiti un'altra. Penso che la filosofia Comunista abbia dei grossi limiti nel concetto "della democrazia centralizzata". Sono più portato ad apprezzare la filosofia socialista. Il limite umano, naturalmente, si concretizza ed appare immancabilmente in quelle persone che organizzano i partiti per applicare il "buon" governo alle popolazioni. Si creano allora delle rivalità che mettono a nudo la pochezza dell'uomo. Le fazioni che si creano sono terribili: piano piano diventa una lotta di sopraffazione e di sopravvivenza. E' un'escalation inevitabile. Per questo motivo nei partiti "fa carriera" chi è fedele al capo e non chi ha le qualità. Il guasto della democrazia è in gran parte attribuibile a questo fenomeno.

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